Dieta vegetariana. La svolta: da dieta insufficiente a terapia ideale.
Riportiamo qui per comodità di documentazione degli amici vegetariani la relazione letta da Nico Valerio nella Sala del Carroccio al Campidoglio, durante lo svolgimento del Congresso Vegetariano. La riporto col titolo originario. A lato l'autoritratto d'un vegetariano celebre: Leonardo da Vinci. "Verrà il tempo in cui gli uomini saranno soddisfatti di un'alimentazione vegetariana e giudicheranno l'uccisione di un animale come essi giudicano oggi quella di un uomo...."
...Relazione al Congresso Vegetariano
LA SCIENZA SPERIMENTALE APPROVA LA RIVOLUZIONE VEGETARIANA
di NICO VALERIO
Roma, Campidoglio, 30 marzo 2007
Era cambiato, insomma, l’atteggiamento della scienza sull’alimentazione sana e il vegetarismo, e nessuno se n’era accorto. Una svolta improvvisa, un paradigm shift, per dirla con Thomas Kuhn che nel suo libro The Structure of Scientific Revolutions aveva coniato l’espressione "paradigm shift" per definire quei bruschi cambiamenti o progressi del pensiero scientifico che hanno fatto dire a qualcuno che non è vero che c’è continuità, in realtà la scienza sembra procedere o addirittura "procede per salti", per intuizioni successive, noi diremmo oggi per "modelli di riferimento" convenzionale.
Così, il modello teorico, il paradigma, in parole semplici l’angolo visuale da tutti condiviso, che era stato utilizzato contro la dieta vegetariana, accusata non solo di non servire come terapia ma anche di essere inadeguata come dieta dal punto di vista nutrizionale, veniva all’improvviso sostituito da un altro, che diffondeva nella comunità scientifica dati, concetti e valori opposti.
Per la prima volta in epoca moderna, la dieta vegetariana diventa un valore positivo, anzi, per esagerazione, considerati gli errori alimentari della società di massa, un’utopia, un miraggio, "purtroppo irraggiungibile" sembrano concludere alcuni studiosi che quasi lamentano, dopo averli criticato in passato, che il regime degli Avventisti del Settimo giorno negli Stati Uniti, delle comunità vegetariane di Gran Bretagna, o dei Giainisti in India non abbia un maggior numero di praticanti.
Docenti universitari e perfino medici delle Asl che qualche anno prima, alla confessione d’una ragazza d’essere vegetariana, scuotevano la testa con aria comprensiva, trattandola quasi come un’anoressica nascosta, ora manca poco che vi imbastiscano sopra una ricerca e la mettano insieme ad altri per uno studio case control destinato alla sicura pubblicazione su riviste di nutrizione umana.
Che cos’è, la solita concessione alle mode, o una sospetta nuova attenzione spinta dal business del commercio e dell’industria? E’ anche questo, in piccola parte; ma è soprattutto un ribaltamento di prospettiva scientifica e un’inversione di valori. Questa volta, ammettiamolo, sono state la scienza sperimentale e l’epidemiologia che hanno fatto tutto. Il business è venuto dopo.
Grazie alla ricerca degli ultimi dieci anni, il vegetarismo sta tornando al passato della sua curiosa etimologia (vegetus=sano), a quanto sembra. Viene in mente la testimonianza del medico-poeta Francesco Redi, ippocratico e paleo-naturista come molti medici del ‘600 e ‘700, quando nei suoi Consulti medici del 1687 contesta i "medicamenti violenti" della farmacia d’allora (e figuriamoci quella d’oggi) e confessa di preferire sempre "quei rimedi semplici che nel vitto quotidiano si pigliano, e che ci sono somministrati dall’orto". Una tradizione terapeutica vegetariana, tendenziale o per scelta, che si rafforzerà lungo i secoli più recenti con l’espandersi in Europa e in America del Naturismo, con i suoi medici e dietologi "riformatori". Una "riforma" della vita basata sul cibo che nutre e che cura, e quindi tutto vegetariano, secondo l’insegnamento di Ippocrate, padre della medicina. Una religione naturalista e scientista che aveva i suoi templi laici nelle Reform-Hauser.
Ma bisogna arrivare agli inizi degli anni 90 del Novecento per vedere ribaltata la considerazione scientifica della dieta vegetariana, nel frattempo suddivisa per una valutazione nutrizionale in lacto-ovo-vegetariana, lacto-vegetariana, ovo-vegetariana, vegan o vegana, perché si potesse distinguere nei risultati finalmente controllati e in doppio cieco, a seconda dei nutrienti.
Perché si arrivasse al paradigm shift, alla svolta, ci sono voluti migliaia di studi. Il cambiamento di prospettiva si è verificato man mano che dagli studi scientifici venivano fuori due filoni separati di scoperte, entrambi a favore della dieta vegetariana, con grande desolazione di nutrizionisti, dietologi e docenti alimentaristi che fino a tutti gli anni Ottanta avevano parlato – vedi una famosa rubrica sull’Espresso – di faddism, insomma manie, fisime immotivate.
Il primo filone di scoperte, che ha rivalutato la dieta vegetariana agli occhi dei ricercatori medici, riguardava le rivelazioni dei biochimici sulle migliaia di sostanze farmacologicamente attive come antiossidanti, antinfiammatorie, antidiabetiche, anti-obesità, anti-stipsi, antiateromasiche, anticolesterolemiche, anti-cancro, spesso però antinutritive, quindi guardate come il fumo negli occhi dai nutrizionisti, con un pizzico di ottusità. Ebbene, sono phytochemicals (così le si chiama oggi) che la dieta vegetariana incontra in grandi quantità ogni giorno.
E siamo ben lontani dall’averle isolate tutte (potrebbero essere fino a 10 mila in ogni alimento vegetale, secondo Bruce Ames), divise in flavonoidi, inositoli, fibre alimentari, fenoli, fitati, fitoestrogeni, inibitori degli enzimi proteolitici, acidi grassi n-3, oligosaccaridi, indoli-glucosinolati, saponine, cumarine, tocoferoli, terpeni ecc.
Il secondo filone di scoperte sugli effetti protettivi della dieta vegetariana ha riguardato i grandi studi epidemiologici e clinici sui popoli o le minoranze a cultura differenziata vegetariana, che fanno registrare un diffuso minor rischio per tutte le malattie, e in particolar modo degenerative, come il cancro. Questo - è facile comprenderlo - è stato il dato che ha più impressionato i ricercatori, ed ha convinto gli Istituti di ricerca ad aprire nuove linee di studio sui tanti principi attivi caratteristici della dieta vegetariana.
Grazie alla dieta vegetariana, oggi, il mito novecentesco dei puri nutrienti, il valore nutrizionale del cibo come mera concentrazione di energia, la corsa nevrotica al fabbisogno, sono stati affiancati e soppiantati dall’esigenza opposta, che cioè negli alimenti a nostra disposizione ogni giorno ci siano, al contrario, quanto più possibile phytochemicals o sostanze attive non nutrizionali.
Ricordiamo lo scandalo di molti, quando Bruce Ames, provocatoriamente, su Nature li chiamò senza mezzi termini "pesticidi naturali". Insomma scorie, pigmenti coloranti, fibre, utilissime indispensabili sostanze "inutili", utili "veleni" d’una Natura madre e matrigna, giustamente più attenta alle piante che all’Uomo, come la consideravano ancora pochi anni fa dietologi e nutrizionisti, e come in gran parte li considerano, se è vero p.es., che la Piramide alimentare americana che metteva al primo posto i phytochemicals dei cereali integrali, è stata censurata dai nutrizionisti in Italia, forse per non causare choc commerciali alla nostra industria alimentare.
Le conoscenze scientifiche sono ancora incomplete sui rapporti tra diete vegetariane e nutrizione umana. Tuttavia il progresso scientifico di questi ultimi decenni ha portato ad un cambiamento nella comprensione del ruolo delle diete vegetariane sulla salute e le malattie dell’uomo. L’ultimo secolo ha visto le popolazioni dei paesi industrializzati aumentare l’aspettativa di vita. Così sta cominciando ad accadere anche ad alcuni Paesi ieri non sviluppati.
Ma di fronte alle carenze degli uni e alle carenze degli altri, diete vegetariane ben bilanciate e adeguate potrebbero offrire una alternativa valida ed efficace alle abituali politiche di prevenzione delle malattie da carenza o da troppo benessere.
Un editoriale del Sabaté, ricercatore attento alle dinamiche dell’alimentazione vegetariana, pubblicato su American Journal of Clinical Nutrition, vede nelle ben bilanciate diete vegetariane proprio quel simulacro realizzato di "diets based on plant foods" vaticinato quasi come se fosse utopistico nelle conclusioni di migliaia di studi di tutto il mondo. No, l’alternativa è reale, facile da praticare, perfino poco costosa da sperimentare nei case control in tutto il mondo: solo nel Regno Unito, dopotutto, i volontari veg sono circa 4 milioni, in Italia probabilmente attorno al milione.
Ma riuscirà la dieta vegetariana – sembra chiedersi il Sabaté – a passare da "adequate diet", dieta adeguata a prevenire i deficit nutritivi con nutrienti ed energia sufficienti per la crescita e la riproduzione umana, a "optimal diet", a dieta ottimale capace di promuovere salute e longevità riducendo i rischi di malattie croniche legate alla dieta? E’ un processo che è già in atto – risponde Sabaté – con alcune diete vegetariane, mediterranee e asiatiche basate sui vegetali. E se le diete plant-based sono generalmente più sane di quelle meat-based diets, questo denota già un’importante allontanamento dai precedenti punti di vista sulle raccomandazioni dietetiche per prevenire le malattie.
Negli anni Sessanta la dieta vegetariana era considerata dalla letteratura medica e nutrizionale una dieta ad alto rischio, di cui si metteva in evidenza soprattutto l’inadeguatezza, i limiti, le carenze, i pericoli per la crescita dei bambini ecc. La dieta a base di carne, all’opposto, veniva presentata come l’optimum non solo della nutrizione infantile e adulta, ma anche la migliore garanzia contro le malattie. Sabaté ha studiato le pubblicazioni scientifiche sulle diete vegetariane dal 60 ad oggi e ne ha ricavato una curva molto interessante che riproduce perfettamente il mutamento dell’atteggiamento dei ricercatori verso le diete vegetariane. Ha scoperto che man mano che dagli anni Sessanta si procede verso i giorni nostri decrescono significativamente dal 50 per cento al 25 per cento gli studi focalizzati su deficienze, malnutrizioni e difetti o rischi di crescita a causa delle diete vegetariane, e in contrasto aumentano gli articoli sugli aspetti preventivi e terapeutici delle diete vegetariane. "Per caso i rischi sulla salute delle diete vegetariane negli anni Sessanta erano sovrastimati?", si chiede ironicamente Sabaté.
Comparato con i cibi animali, il cibo vegetale ha generalmente un minore contenuto energetico, una minore concentrazione e biodisponibilità di alcuni nutrienti. Certo, c’è dieta vegetariana e dieta vegetariana, distingue il Sabaté. In situazioni di alta richiesta metabolica come durante la gravidanza, l’allattamento e gli anni della crescita, alcune diete vegetariane molto restrittive o sbilanciate, come quelle macrobiotiche, possono essere a maggior rischio per introiti marginali o anche deficienze biochimiche o cliniche di quelle basate su prodotti animali. Tuttavia oggi generalizzare su quei casi estremi, come si faceva 30 anni fa per demonizzare le diete vegetariane mettendo unilateralmente in rilievo i rischi a scapito dei potenziali benefici, non è più possibile. Le diete vegetariane possono rappresentare un vantaggio per la popolazione adulta sedentaria e la prevenzione di malattie croniche. Quel modello di valutazione appare ora superato, conclude il ricercatore americano.
Durante gli ultimi anni sono stati accettati dalla comunità scientifica studi sui benefici sulla salute delle diete vegetariane e su altre diete basate sui vegetali, soprattutto la riduzione del rischio di molte malattie croniche degenerative e della mortalità totale (Messina e Burke, Position of the American Dietetici Associazioni: vegetariani diets. J Am Diet Assoc 1997; e Sabaté,. Vegetarian nutrition, 2001). I vegetariani nei Paesi sviluppati godono di notevole buona salute, esemplificata dal basso tasso di obesità, malattie coronariche, diabete e numerosi tumori, oltre ad una aumentata longevità (Fraser e Snowdon).
Questi benefici possono essere dovuti sia all’assenza di carne, sia al grande ammontare di cibi vegetali ricchi di principi attivi e antiossidanti. Mentre l’assunzione di carne nella dieta è stata collegata ad un accresciuto rischio di varie malattie croniche come malattie cardiache ischemiche e alcuni tumori, l’abbondante consumo di alimenti tipici della dieta vegetariana come frutta e verdura, legumi, cereali non raffinati e semi oleosi, è stata associata in modo consistente ad un più basso rischio di molte malattie degenerative croniche, e in alcuni casi ad una maggiore longevità.
I grandi studi sulla dieta e la salute di migliaia di soggetti vegetariani e no hanno rivelato tra i risultati molte più associazioni tra i cibi vegetali e malattie croniche che con i cibi animali come carne o formaggi. Tutti gli effetti protettivi erano osservati per i primi, mentre tutti quelli rischiosi erano riferiti ai secondi. Il che lascia presumere - argomenta Sabaté - che gli effetti positivi dei cibi vegetali sulla prevenzione delle malattie croniche sono probabilmente più definiti degli effetti negativi dei cibi carnei.
Abbiamo visto come siano ormai più le sostanze non nutrizionali o addirittura antinutrizionali a fare degli alimenti tipici delle diete vegetariane dei regimi alimentari protettivi. Di conseguenza l’aumentato rischio di cancro e malattie cardiovascolari in chi non è vegetariano e segue una dieta con larga presenza di cibi animali, contrapposta negli studi scientifici alle diete vegetariane, potrebbe essere dovuto non solo ad un eccesso di calorie, di grassi totali e saturi, e di altri nutrienti, ma anche a una deficienza o ad una presenza marginale proprio di quei phytochemicals così abbondanti nelle diete vegetariane, ma non ancora etichettate, per una ingiustizia scientifica che penalizza proprio l’alimentazione più protettiva, come nutrienti.
NICO VALERIO
AGGIORNATO IL 24 DICEMBRE 2014
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