LACTO-OVO VEGETARIAN

La vera dieta vegetariana
normale, completa,
sana, naturale,
preventiva,
senza carenze,
senza ipocrisie,
senza fanatismo,
secondo la Tradizione
e la Scienza più moderna

15 febbraio 2016

Colesterolo alto: efficacia di una dieta vegetariana, e senza rischi.

«I pregiudizi del giovane cardiologo e del vecchio medico. Un giovane medico, specializzato in cardiologia, si scandalizzava quando qualcuno confessava di bere abitualmente latte intero. Lui, al contrario, "per evitare il colesterolo", consumava soltanto latte scre­mato. Un dietologo di successo, tra l'altro autore di rubriche di medicina sui giornali, proibiva tassativa­mente le uova ("al massimo, 2 o 3 a settimana") anche a chi sprizzava salute da tutti i pori. Sempre per via del colesterolo, ovviamente.
         Rischio di aterosclerosi? E ancora, un popolare manuale di alimentazione per le famiglie redatto "con la supervisione e la consulenza dell'I­stituto Nazionale della Nutrizione" permette la car­ne di manzo ogni giorno, ma le uova solo "2-3 volte a settimana" e i legumi secchi (potenti anti-coleste­rolo, come si vedrà più avanti) solo "moderatamen­te" (2-3 volte) o "raramente", cioè 1 volta a settima­na (1). E un manuale americano propone "invece del latte intero e derivati, le nuove formule di latte, yogurt e cottage-cheese senza grassi..." (2)
          Ecco tre errori comuni, perfino tra medici, che riguardano la presunta origine alimentare della colesterolemia, oggi in gran parte smentita dalla scienza, e l'azione anti-colesterolo di alcuni alimen­ti.
Per i legumi tira una brutta aria. Dopo oltre dieci anni dai primi studi scientifici che provavano l'azione ipocolesterolemizzante dei legumi sull'uomo e sugli animali, quasi tutti i medi­ci di base e buona parte degli specialisti in malattie cardiovascolari o ignorano del tutto o non danno alcuna importanza pratica alle numerose scoperte scientifiche sui rapporti tra alimentazione e coleste­rolo. I luoghi comuni permangono immutati nella classe medica: le uova alzano il colesterolo ematico, come del resto il latte intero; i legumi sono indigesti e ricchi di fattori antinutrizionali (antitripsine, lecti­ne, ecc.), perciò vanno ridotti.
         "Cave ovum!" disse il medico Aulo Cornelio Celso. O no? I nutrizionisti, poi, per deformazione professionale, mostrano un sacro terrore per ogni tipo di anti-enzima proteolitico e in genere per ogni principio che si oppone all'assimila­zione dei nutrienti. Peccato che la scienza moderna, in studi ormai consolidati, abbia accertato che sono proprio i temuti fattori antinutrizionali dei legumi i più potenti anti-colesterolo della dieta, e che uova e latte intero incidono pochissimo sul colesterolo ematico. Il latte, addirittura, in certi casi abbassa la colesterolemia.
         Uova o no? È vero che il tuorlo di un uovo di 58 g contiene 292 mg di colesterolo (504 mg/100 g, fonte Istituto Nazionale della Nutrizione), ma si tratta di una quantità molto piccola rispetto ai 1000 o 2000 mg di colesterolo che l'organismo produce ogni giorno a partire da altre fonti (3).
In una dieta normalmente dotata di altri alimenti contenenti colesterolo (latte, formaggi e carni), il consumo giornaliero di uova non aumenta il cole­sterolo ematico in modo sensibile (4). Più di 2 uova al giorno producono un piccolo aumento di coleste­rolo ematico: basti considerare che mezza tazza di uova intere, aggiunte alla normale dieta, innalza il colesterolo appena del 9 per cento (5).
          Un "giallo" senza colpevoli. Il vecchietto dell'Oregon: 25 uova al giorno, in media. Ha fatto scalpore il caso (6) di un americano di 88 anni del Colorado che per 15 anni si è nutrito in media di 25 uova sode al giorno, godendo di ottima salute e facendo registrare un tasso di colesterolo normale, tra i 150 e i 200 mg. Del resto, nel 93 per cento dei maschi di Framingham, la cittadina ameri­cana dove è stata condotta un'indagine (7) di mas­sa su tutta la popolazione adulta riguardante le coronaropatie, non c'era alcuna relazione tra assun­zione e livelli ematici di colesterolo (8).
         È chiaro, insomma, che le uova in sè non hanno colpe (9) e che i fattori genetici e i meccanismi che regolano il metabolismo del colesterolo sono del tut­to individuali. Quali raccomandazioni dare? Se le uova piacciono molto e si è meno fortunati del vec­chietto dell'Oregon in quanto a capacità metaboli­che, vale il consiglio di Bland (10) di preferire l'albu­me e consumare un solo tuorlo ogni 2 o 3 uova, con­servandone così, intatto, il valore nutritivo.
          Il latte è un altro alimento su cui si concentrano i pregiudizi, anche tra i medici. Contiene appena 14 mg di colesterolo per 100 g, eppure ci sono cardiolo­gi e dietologi che non esitano a proibirlo, perfino alle donne e agli anziani, oppure a sostituirlo con insipido latte scremato, che così perde le vitamine A e D, le immunoglobuline ed altri fattori di difesa anti-infezioni che potrebbero rivelarsi utili nei sog­getti deboli o immunodepressi (11).
          Il "Masai factor". In realtà i Masai, in Africa, oltre a consumare mol­ta carne, bevono ogni giorno 4-5 litri di latte e yogurt; eppure, nonostante la dieta ricca di grassi saturi e di colesterolo, restano sanissimi e con cole­sterolo ematico inferiore a quello degli Occidentali (12). G.V. Mann attribuisce a un "fattore del latte" (MF o milk factor), la proprietà di abbassare il cole­sterolo. Studiosi giapponesi (13) avrebbero isolato in culture di Penicillium una sostanza non proteica capace di inibire in vitro il coenzima A reductasi dell'HMG o idrossi-metil-glutarato, un enzima chiave nella sintesi del colesterolo endogeno. Per un altro studioso (14), invece, sarebbe il lattosio la sostanza ipocolesterolemizzante del latte.
           Una review sul tema (15) conferma l'effetto anti-coleste­rolo che hanno sia il latte intero che quello screma­to, sia lo yogurt, riportando l'esito di esperimenti su volontari americani e inglesi. Oltre all'ipotesi HMG, l'autore cita quella dell'acido orotico (73-122 mg/L nel latte, 34-46 mg/L nello yogurt) che ha mostrato in numerosi studi (16) marcati effetti sul metabolismo dei lipidi nei ratti, inibendo nel fega­to la produzione delle β-lipoproteine. Fattore di crescita per i lactobacilli - perciò lo yogurt ne è meno dotato - e altri microrganismi della flora intestinale, l'acido orotico in passato è stato addi­rittura considerato una vitamina ("vitamina B13"), come riferisce una studiosa svedese (17). Un espe­rimento (18) condotto su 54 volontari con un sup­plemento sulla dieta normale di 3 tazze (240 ml) di latte al giorno o di yogurt (con coltura viva di Lac­tobacillus bulgaricus e Streptococcus thermophilus) ha permesso di osservare una flessione della coleste­rolemia del 5-10 per cento dopo solo 1 settimana. Notevoli effetti, in particolare, ha avuto la supple­mentazione con yogurt.
           Avuta una ulteriore prova positiva in laboratorio, sui ratti (riduzione della biosintesi di colesterolo del 40 per cento), è stato suggerito (19) che l'azione ipo­colesterolemizzante possa essere dovuta alla com­posizione totale degli ingredienti del latte, piuttosto che a un solo principio attivo. Di segno contrario, invece, la review che, pur ammettendo la possibilità dell'effetto ipocolesterolemizzante di latte e yogurt, cerca di smontare tutte le ipotesi avanzate sull'iden­tificazione del principio attivo (20).
            Budda salva i cinesi. L'alimentazione vegetariana, di per sé, ha effetti anti-colesterolo? Tutti gli studi condotti sulle comu­nità vegetariane, in Oriente e in Occidente, indica­no concordemente valori più bassi di colesterolemia e un profilo lipidico più favorevole (21). La carne, si dice, è sul banco degli accusati. Ma è vero che è col­legata a un maggior rischio? In uno studio recente (22), 55 giovani cinesi di Taiwan, buddisti e lacto­vegetariani, hanno mostrato valori di colesterolo nel sangue più bassi degli onnivori di Taiwan (3,52 e 4,16 mmol/L, rispettivamente, gli uomini), diffe­renza poco appariscente perché anche gli onnivori in Cina consumano pochi grassi saturi e poca carne. Le donne avevano indici analoghi, ma quelle vege­tariane vantavano un valore di apolipoproteina A-I molto più alto: 66,39 μmol/L rispetto a 48,82 delle onnivore. Viene confermata la tendenza apparsa negli studi sui vegetariani Avventisti del Settimo Giorno: meno colesterolo totale e meno lipoprotei­ne a bassa densità (LDL) (23). Un recente profilo di 132 vegetariani thailandesi ha dato valori più bassi di colesterolo totale (in media, 153 mg/100 ml con­tro 204 del controllo, per gli uomini) e di LDL (84 contro 131); ma ha anche confermato la tendenza vegetariana ad abbassare anche le HDL protettive (46 contro 54). Per le donne i valori sono analoghi (24).
            Controprova: che accade se aggiungi la carne alla dieta. Si è provato ad aggiungere la carne (circa 250 g) a una dieta vegetariana per vedere che cosa accadeva. Si è visto che il colesterolo totale aumentava del 20 per cento (25). E non è solo perché la carne è ricca di grassi saturi, ma anche perché le proteine animali di per sé innalzano il colesterolo. Un esempio non car­neo? La caseina dei formaggi. Al contrario delle pro­teine dei legumi (per esempio, la soia), la caseina ha dimostrato di aumentare il tenore di colesterolo nel sangue in numerosi studi (26).
            L'ipotesi ammoacidi: più arginina, meno lisina. Poiché le proteine animali, in quanto ad aminoa­cidi, contengono più lisina e meno arginina di quel­le vegetali, si è sperimentata l'aggiunta di arginina alla dieta di caseina e si è visto che il colesterolo si riduceva; all'opposto, aggiungendo lisina alla dieta di soia il colesterolo ematico e il tenore di acidi gras­si aumentavano (27). Se ne deduce che anche la composizione in aminoacidi delle varie proteine vegetali e animali modula l'assorbimento del cole­sterolo.
            Proteine vegetali meglio delle proteine animali.Uno studio canadese (28) ha dato la prova, in un esperimento di laboratorio, che sono gli stessi aminoacidi ipercolesterolemizzanti (lisina, leucina e metionina), piuttosto che i loro prodotti metabolici, a essere coinvolti attraverso l'induzione di risposte ormonali nel decremento dei recettori LDL nel fega­to. Per di più, vari esperimenti mostrano che un'ali­mentazione con proteine vegetali aumenta l'escre­zione degli steroidi fecali (29), il che riduce l'assorbi­mento effettivo del colesterolo. Ma se, per esperi­mento, si aggiunge l'aminoacido lisina alle proteine vegetali nella dieta fino a raggiungere i livelli delle proteine animali, ci si accorge che l'organismo non si fa "ingannare" e nulla cambia nel livello di cole­sterolo e nella sua escrezione fecale.
            Ruolo delle frazioni proteiche non digerite. Questo fa rite­nere che l'effetto anti-colesterolo delle proteine vegetali non dipenda solo dal rapporto tra gli ami­noacidi lisina e arginina (30) ma anche dalle frazioni proteiche non digerite. I vegetariani e i cultori della dieta mediterranea, insomma, hanno ragione: le proteine vegetali sembrano essere di per sé ipocole­sterolemizzanti e antiaterogeniche (31).
            La guerra degli enzimi. Anche sull'equilibrio degli enzimi si riflette la qualità delle proteine. Se si consumano proteine vegetali (per esempio, soia) aumenta l'escrezione del colesterolo con le feci, come si è visto. Ma questo automaticamente fa aumentare nel fegato l'attività dell'enzima HMG-CoA reductasi (il regolatore della sintesi del colesterolo nell'organismo), che così pro­duce meno colesterolo, e nello stesso tempo quella dell'enzima 7α-idrossilasi che sintetizza gli acidi biliari, proprio per compensare la perdita di steroi­di. D'altro lato, le proteine vegetali del cibo (per esempio la soia) innalzano il livello dell'aminoacido arginina nel sangue e quindi quello del glucago­ne. Il glucagone, però, è noto come inibitore della attività dell'enzima HMG-CoA reductasi; e così il cerchio si chiude, col rafforzamento degli effetti anti-colesterolo di soia e altri alimenti proteici vege­tali (32).
            I recettori LDL potenziati dai grassi polinsaturi. Da parte loro, i grassi polinsaturi (PUFA) non riducono direttamente l'assorbimento del colestero­lo, come molti credono, ma riducono la colesteroge­nesi intestinale che a sua volta abbassa il contenuto di colesterolo nelle particelle VLDL, e poi facilitano la rapida rimozione dei trigliceridi. In più, i PUFA - come le proteine vegetali - aumentano l'attività dei recettori LDL nel fegato addetti all'eliminazione di queste lipoproteine dannose. Questi e altri contorti itinerari, attraverso le reazioni innescate nell'organi­smo da proteine vegetali e acidi grassi polinsaturi (PUFA), sono stati analizzati da numerosi ricercatori (33).
           I vegetariani, come si è visto, sono avvantaggiati. E ancor più se si considera che ai loro vantaggi possono aggiungere altri specifici fattori anti-colesterolo, come le fibre e i principi attivi di alcuni alimenti (ad esem­pio, l'aglio) che saranno presi in esame più avanti. E non solo i vegans, cioè i cosiddetti vegetaliani, che a differenza dei vegetariani escludono qualunque cibo animale, ma anche quelli che in medicina si chiama­no lacto-vegetariani e lacto-ovo-vegetariani.
           I rischi del vegetariano "da formaggio". Il rischio, però, è che il vegetariano neofita, senza riorganizzare totalmente la dieta, si limiti a sostitui­re la carne e il pesce con i formaggi, peggio se nelle medesime abbondanti porzioni della carne. A diffe­renza di latte e yogurt, infatti, i formaggi non sem­brano possedere alcuna proprietà anti-colesterolo. Al contrario, sono proprio questi i cibi che in una dieta vegetariana tendono ad innalzare di più sia il colesterolo totale che la sua frazione più pericolosa LDL (34), ma non a causa della proteina caseina, che da sola sarebbe senza effetto (35). Sono gli abbon­danti grassi saturi dei formaggi a innalzare il cole­sterolo.
          Singolar tenzone: macrobiotici­-vegans contro lacto-­vegetariani. I vegans, ovvero i vegetariani stretti, sono stati confrontati con i lacto-vegetariani per accertare in quale misura la presenza o meno nella dieta del lat­te e dei suoi derivati si riflettesse sui livelli del cole­sterolo. Una indagine condotta negli Stati Uniti (36) ha analizzato i valori ematici di 78 lacto-vegetariani e di 133 vegans, che non assumevano mai né latte né latticini, e ha constatato che questi ultimi facevano registrare, in media, un colesterolo totale inferiore del 17 per cento circa (133 contro 161 mg/100 ml), lipoproteine LDL minori del 24 per cento (78 invece di 97 mg/100 ml), ma non potevano contare sul 7 per cento in più di lipoproteine protettive HDL dei lacto-vegetariani (43 contro 46 mg/100 ml). Tuttavia - è il commento dei ricercatori - le differenze nei valori di LDL tra ciascuno dei due gruppi vegetaria­ni e la popolazione degli Stati Uniti sono maggiori delle differenze nei livelli di HDL. Di fronte alle medie americane LDL e HDL del Lipid Research Clinics Population Studies Data Book (37), vale a dire 116 e 51 mg/100 ml, i lacto-vegetariani studiati dalla ricerca avevano rispettivamente 97 e 46 mg e i vegans 78 e 43 mg/100 ml. 
Che succede se i macrobiotici fumano? Curiosamente, tra i vegans - che erano anche macrobiotici - abbondava­no i fumatori, mentre nessun fumatore era presente tra i lacto-vegetariani; cosicché i ricercatori attribui­scono al fumo qualche punto in più nei valori LDL e qualche punto in meno nei valori HDL dei macro­biotici-vegans (38).
        Le donne indiane, sì che ci sanno fare. L'intero complesso dell'alimentazione quotidiana protegge i vegetariani dalle malattie cardiache e dal colesterolo. Uno studio ha messo a confronto 22 donne vegetariane indiane con 22 donne europee onnivore e 18 europee vegetariane. Fibre, vitamina E e vitamina C erano più abbondanti nelle vegeta­riane, che mostravano anche minori livelli di cole­sterolo LDL e apolipoproteine B, e più alti livelli di HDL, HDL2, α-tocoferolo e un rapporto maggiore tra α-tocoferolo e colesterolo (39). Il rapporto favore­vole tra l'antiossidante α-tocoferolo (vitamina E) e bassi livelli di colesterolo ematico, oltre a un miglio­re profilo degli acidi grassi, è stato riscontrato in 79 vegetariani (40)
».
Brano tratto dal ben più lungo capitolo “Colesterolo” del volume di Nico Valerio, Manuale di terapie con gli Alimenti, Mondadori, I ed. 1995, II ed. 2001, da pag.169 a pag.176. Dopo la pubblicazione del manuale, scritto tra il 1994 e il 1995, con piccoli aggiornamenti successivi, la ricerca ha ovviamente prodotto numerosi altri studi sull’argomento, anche più dettagliati e meglio controllati, che però non smentiscono, ma confermano la tesi.
RIFERIMENTI
1. AA.VV, Mangiare meglio per vivere meglio, ed. Reader's Digest, Milano 1987, pp. 87 e 93.
2. I. Rosenfeld, Doctor, What Should I Eat? Random House, New York 1995, p. 199.
3. J. Bland 1985, p. 135.
4. H. H. Vorster e coll. Am. J. Gin. Nutr. 55:400­410, 1992.
5. S.L. Roberts e W.E. Connor. Am. J. Gin. Nutr. 34:2092, 1981.
6. Rif. da Kern, N. Engl., J. Med.
7. T. R. Dawber, 1980.
8. C.J. Glueck e W.E. Connor. Am. J. Clin. Nutr. 32:727­737, 1978. Del resto, non vi è rapporto tra consumo di uova e incidenza di malattie cardiache. T.R. Dawber e J. Pool, Am. J. Clin. Nutr. 36:617, 1982.
9. È il commento di F. Kern, della facoltà di medicina dell'Università del Colorado.
10. J. Bland, cit.
11. È di questo avviso R.H. Yolken (vedi alla voce Diarrea).
12. G.V. Mann e A. Spoerri. Am. J. Clin. Nutr. 27:464­469, 1974; G. V. Mann. Atherosclerosis 26:335, 1977.
13. A. Endo e coll. Eur. J. Biochem. 77:31, 1977.
14. P. Helms. Lancet p. 556, Sept 10, 1977.
15. T. Richardson,1978.
16. Tra gli altri, B.A.Bernstein et al., 1977 e H.G. Windmueller. Biochem. Biophys. Res. Commun. 11:496-500, 1963.
17. L. Alm. J. Dairy Sci. 65:353-359, 1982. Nel 1904 gli italiani G. Biscarro ed E. Bellone furono i primi a studiare l'acido orotico. Ann. Soc. Chim. 11:18, 1904.
18. G. Hepner e coll. Am. J. Gin. Nutr. 32:19-24, 1979.
19. D. Kritchevsky e coll. Am. J. Gin. Nutr. 32:597-600, 1979.
20. M. Eichholzer e H. Stahelin, 1993.
21. Si veda tra i numerosi lavori quello di F.M. Sacks e coll. N.
Engl. J. Med. 292:1148-1151, 1975.
22. W.H. Pan e coll. Am. J. Clin. Nutr. 58:354-359, 1993.
23. Ne hanno riferito tra gli altri J.R.L. Masarai e coll. Am. J. Clin. Nutr. 40:468-479, 1984.
24. V. Supawan e coll. Internat. J. Vit. Nutr. Res. 62:324-329, 1992.
25. F.M. Sacks ed E.H. Kass. JAMA 246:640, 1981.
26. Tra i tanti, quello di M.W. Huff e K.K. Carroll. J. Lipid Res. 21:546­558, 1980.
27. R. Van der Meer. J. Am. Oil Chem. Soc. 64: 1172, 1987.
28. E.M. Kurowska e K.K. Carroll. J. Nutr. 124:364­370,1994.
29. R. Fumagalli e coll. Life Science 22:947­955, 1978.
30. M. Bassat e S. Mokady. Br. J. Nutr 53:25­30, 1985.
31. Lo aveva intuito per primo A. Ignatowski nel lontano 1909. Virchows Ark. Path. Anat. Physiol. 198: 248, 1909.
32. Per saperne di più, due review sugli effetti ipocolesterole­mici delle proteine vegetali sono quelle di A.H.M. Terpstra e coll. Wld. Rev. Nutr. Diet. 42:l-55, 1983 e di Y.S. Huang e coll. Prog. Lipid Res. 32:123-137, 1993.
33. Tra gli altri, Huang e coll., cit.; Terpstra e coll., cit.
34. Lo hanno affermato F.M. Sacks e coll., 1975, cit.
35. F.M. Sacks e coli. J. Lipid Res. 24:1012­1020,1983.
36. F.M. Sacks et al. JAMA 254:1337-1341, 1985.
37. National Institutes of Health, I. The Prevalence Study. Bethesda 1980, 80-1527.
38. Sacks e coll. 1985, cit.
39. B.S. Reddy e T.A. Sanders. Atherosclerosis 95:223-229, 1992.
40. A. Pronczuk e coll. J. Am. Coll. Nutr. 11:50-55, 1992­

AGGIORNATO IL 30 APRILE 2018

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