LACTO-OVO VEGETARIAN

La vera dieta vegetariana
normale, completa,
sana, naturale,
preventiva,
senza carenze,
senza ipocrisie,
senza fanatismo,
secondo la Tradizione
e la Scienza più moderna

20 giugno 2008

Dieta vegetariana. La svolta: da dieta insufficiente a terapia ideale.

Riportiamo qui per comodità di documentazione degli amici vegetariani la relazione letta da Nico Valerio nella Sala del Carroccio al Campidoglio, durante lo svolgimento del Congresso Vegetariano. La riporto col titolo originario. A lato l'autoritratto d'un vegetariano celebre: Leonardo da Vinci. "Verrà il tempo in cui gli uomini saranno soddisfatti di un'alimentazione vegetariana e giudicheranno l'uccisione di un animale come essi giudicano oggi quella di un uomo...."

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Relazione al Congresso Vegetariano

LA SCIENZA SPERIMENTALE APPROVA LA RIVOLUZIONE VEGETARIANA

di NICO VALERIO
Roma, Campidoglio, 30 marzo 2007

Chiudendo l’ultima pagina del mio Manuale di terapie con gli Alimenti, dieci anni fa, potevo ben dire che l’ampia ricerca che avevo terminato di scrivere sugli studi scientifici che provavano le attività preventive e terapeutiche degli alimenti, rivelava due grandi novità. L’epidemiologia e la scienza sperimentale (di laboratorio e clinica), dopo anni di ostracismo, riconoscevano e premiavano finalmente come validi protettivi contro gran parte delle Civilization disease o malattie del benessere, due princìpi fino a quel momento definiti "alternativi" o "esoterici" e perciò da guardare con diffidenza: i cereali integrali e la dieta vegetariana.

Era cambiato, insomma, l’atteggiamento della scienza sull’alimentazione sana e il vegetarismo, e nessuno se n’era accorto. Una svolta improvvisa, un paradigm shift, per dirla con Thomas Kuhn che nel suo libro The Structure of Scientific Revolutions aveva coniato l’espressione "paradigm shift" per definire quei bruschi cambiamenti o progressi del pensiero scientifico che hanno fatto dire a qualcuno che non è vero che c’è continuità, in realtà la scienza sembra procedere o addirittura "procede per salti", per intuizioni successive, noi diremmo oggi per "modelli di riferimento" convenzionale.
Così, il modello teorico, il paradigma, in parole semplici l’angolo visuale da tutti condiviso, che era stato utilizzato contro la dieta vegetariana, accusata non solo di non servire come terapia ma anche di essere inadeguata come dieta dal punto di vista nutrizionale, veniva all’improvviso sostituito da un altro, che diffondeva nella comunità scientifica dati, concetti e valori opposti.

Per la prima volta in epoca moderna, la dieta vegetariana diventa un valore positivo, anzi, per esagerazione, considerati gli errori alimentari della società di massa, un’utopia, un miraggio, "purtroppo irraggiungibile" sembrano concludere alcuni studiosi che quasi lamentano, dopo averli criticato in passato, che il regime degli Avventisti del Settimo giorno negli Stati Uniti, delle comunità vegetariane di Gran Bretagna, o dei Giainisti in India non abbia un maggior numero di praticanti.

Docenti universitari e perfino medici delle Asl che qualche anno prima, alla confessione d’una ragazza d’essere vegetariana, scuotevano la testa con aria comprensiva, trattandola quasi come un’anoressica nascosta, ora manca poco che vi imbastiscano sopra una ricerca e la mettano insieme ad altri per uno studio case control destinato alla sicura pubblicazione su riviste di nutrizione umana.

Che cos’è, la solita concessione alle mode, o una sospetta nuova attenzione spinta dal business del commercio e dell’industria? E’ anche questo, in piccola parte; ma è soprattutto un ribaltamento di prospettiva scientifica e un’inversione di valori. Questa volta, ammettiamolo, sono state la scienza sperimentale e l’epidemiologia che hanno fatto tutto. Il business è venuto dopo.

Grazie alla ricerca degli ultimi dieci anni, il vegetarismo sta tornando al passato della sua curiosa etimologia (vegetus=sano), a quanto sembra. Viene in mente la testimonianza del medico-poeta Francesco Redi, ippocratico e paleo-naturista come molti medici del ‘600 e ‘700, quando nei suoi Consulti medici del 1687 contesta i "medicamenti violenti" della farmacia d’allora (e figuriamoci quella d’oggi) e confessa di preferire sempre "quei rimedi semplici che nel vitto quotidiano si pigliano, e che ci sono somministrati dall’orto". Una tradizione terapeutica vegetariana, tendenziale o per scelta, che si rafforzerà lungo i secoli più recenti con l’espandersi in Europa e in America del Naturismo, con i suoi medici e dietologi "riformatori". Una "riforma" della vita basata sul cibo che nutre e che cura, e quindi tutto vegetariano, secondo l’insegnamento di Ippocrate, padre della medicina. Una religione naturalista e scientista che aveva i suoi templi laici nelle Reform-Hauser.

Ma bisogna arrivare agli inizi degli anni 90 del Novecento per vedere ribaltata la considerazione scientifica della dieta vegetariana, nel frattempo suddivisa per una valutazione nutrizionale in lacto-ovo-vegetariana, lacto-vegetariana, ovo-vegetariana, vegan o vegana, perché si potesse distinguere nei risultati finalmente controllati e in doppio cieco, a seconda dei nutrienti.

Perché si arrivasse al paradigm shift, alla svolta, ci sono voluti migliaia di studi. Il cambiamento di prospettiva si è verificato man mano che dagli studi scientifici venivano fuori due filoni separati di scoperte, entrambi a favore della dieta vegetariana, con grande desolazione di nutrizionisti, dietologi e docenti alimentaristi che fino a tutti gli anni Ottanta avevano parlato – vedi una famosa rubrica sull’Espresso – di faddism, insomma manie, fisime immotivate.

Il primo filone di scoperte, che ha rivalutato la dieta vegetariana agli occhi dei ricercatori medici, riguardava le rivelazioni dei biochimici sulle migliaia di sostanze farmacologicamente attive come antiossidanti, antinfiammatorie, antidiabetiche, anti-obesità, anti-stipsi, antiateromasiche, anticolesterolemiche, anti-cancro, spesso però antinutritive, quindi guardate come il fumo negli occhi dai nutrizionisti, con un pizzico di ottusità. Ebbene, sono phytochemicals (così le si chiama oggi) che la dieta vegetariana incontra in grandi quantità ogni giorno.
E siamo ben lontani dall’averle isolate tutte (potrebbero essere fino a 10 mila in ogni alimento vegetale, secondo Bruce Ames), divise in flavonoidi, inositoli, fibre alimentari, fenoli, fitati, fitoestrogeni, inibitori degli enzimi proteolitici, acidi grassi n-3, oligosaccaridi, indoli-glucosinolati, saponine, cumarine, tocoferoli, terpeni ecc.

Il secondo filone di scoperte sugli effetti protettivi della dieta vegetariana ha riguardato i grandi studi epidemiologici e clinici sui popoli o le minoranze a cultura differenziata vegetariana, che fanno registrare un diffuso minor rischio per tutte le malattie, e in particolar modo degenerative, come il cancro. Questo - è facile comprenderlo - è stato il dato che ha più impressionato i ricercatori, ed ha convinto gli Istituti di ricerca ad aprire nuove linee di studio sui tanti principi attivi caratteristici della dieta vegetariana.

Grazie alla dieta vegetariana, oggi, il mito novecentesco dei puri nutrienti, il valore nutrizionale del cibo come mera concentrazione di energia, la corsa nevrotica al fabbisogno, sono stati affiancati e soppiantati dall’esigenza opposta, che cioè negli alimenti a nostra disposizione ogni giorno ci siano, al contrario, quanto più possibile phytochemicals o sostanze attive non nutrizionali.

Ricordiamo lo scandalo di molti, quando Bruce Ames, provocatoriamente, su Nature li chiamò senza mezzi termini "pesticidi naturali". Insomma scorie, pigmenti coloranti, fibre, utilissime indispensabili sostanze "inutili", utili "veleni" d’una Natura madre e matrigna, giustamente più attenta alle piante che all’Uomo, come la consideravano ancora pochi anni fa dietologi e nutrizionisti, e come in gran parte li considerano, se è vero p.es., che la Piramide alimentare americana che metteva al primo posto i phytochemicals dei cereali integrali, è stata censurata dai nutrizionisti in Italia, forse per non causare choc commerciali alla nostra industria alimentare.

Le conoscenze scientifiche sono ancora incomplete sui rapporti tra diete vegetariane e nutrizione umana. Tuttavia il progresso scientifico di questi ultimi decenni ha portato ad un cambiamento nella comprensione del ruolo delle diete vegetariane sulla salute e le malattie dell’uomo. L’ultimo secolo ha visto le popolazioni dei paesi industrializzati aumentare l’aspettativa di vita. Così sta cominciando ad accadere anche ad alcuni Paesi ieri non sviluppati.

Ma di fronte alle carenze degli uni e alle carenze degli altri, diete vegetariane ben bilanciate e adeguate potrebbero offrire una alternativa valida ed efficace alle abituali politiche di prevenzione delle malattie da carenza o da troppo benessere.

Un editoriale del Sabaté, ricercatore attento alle dinamiche dell’alimentazione vegetariana, pubblicato su American Journal of Clinical Nutrition, vede nelle ben bilanciate diete vegetariane proprio quel simulacro realizzato di "diets based on plant foods" vaticinato quasi come se fosse utopistico nelle conclusioni di migliaia di studi di tutto il mondo. No, l’alternativa è reale, facile da praticare, perfino poco costosa da sperimentare nei case control in tutto il mondo: solo nel Regno Unito, dopotutto, i volontari veg sono circa 4 milioni, in Italia probabilmente attorno al milione.

Ma riuscirà la dieta vegetariana – sembra chiedersi il Sabaté – a passare da "adequate diet", dieta adeguata a prevenire i deficit nutritivi con nutrienti ed energia sufficienti per la crescita e la riproduzione umana, a "optimal diet", a dieta ottimale capace di promuovere salute e longevità riducendo i rischi di malattie croniche legate alla dieta? E’ un processo che è già in atto – risponde Sabaté – con alcune diete vegetariane, mediterranee e asiatiche basate sui vegetali. E se le diete plant-based sono generalmente più sane di quelle meat-based diets, questo denota già un’importante allontanamento dai precedenti punti di vista sulle raccomandazioni dietetiche per prevenire le malattie.

Negli anni Sessanta la dieta vegetariana era considerata dalla letteratura medica e nutrizionale una dieta ad alto rischio, di cui si metteva in evidenza soprattutto l’inadeguatezza, i limiti, le carenze, i pericoli per la crescita dei bambini ecc. La dieta a base di carne, all’opposto, veniva presentata come l’optimum non solo della nutrizione infantile e adulta, ma anche la migliore garanzia contro le malattie. Sabaté ha studiato le pubblicazioni scientifiche sulle diete vegetariane dal 60 ad oggi e ne ha ricavato una curva molto interessante che riproduce perfettamente il mutamento dell’atteggiamento dei ricercatori verso le diete vegetariane. Ha scoperto che man mano che dagli anni Sessanta si procede verso i giorni nostri decrescono significativamente dal 50 per cento al 25 per cento gli studi focalizzati su deficienze, malnutrizioni e difetti o rischi di crescita a causa delle diete vegetariane, e in contrasto aumentano gli articoli sugli aspetti preventivi e terapeutici delle diete vegetariane. "Per caso i rischi sulla salute delle diete vegetariane negli anni Sessanta erano sovrastimati?", si chiede ironicamente Sabaté.

Comparato con i cibi animali, il cibo vegetale ha generalmente un minore contenuto energetico, una minore concentrazione e biodisponibilità di alcuni nutrienti. Certo, c’è dieta vegetariana e dieta vegetariana, distingue il Sabaté. In situazioni di alta richiesta metabolica come durante la gravidanza, l’allattamento e gli anni della crescita, alcune diete vegetariane molto restrittive o sbilanciate, come quelle macrobiotiche, possono essere a maggior rischio per introiti marginali o anche deficienze biochimiche o cliniche di quelle basate su prodotti animali. Tuttavia oggi generalizzare su quei casi estremi, come si faceva 30 anni fa per demonizzare le diete vegetariane mettendo unilateralmente in rilievo i rischi a scapito dei potenziali benefici, non è più possibile. Le diete vegetariane possono rappresentare un vantaggio per la popolazione adulta sedentaria e la prevenzione di malattie croniche. Quel modello di valutazione appare ora superato, conclude il ricercatore americano.

Durante gli ultimi anni sono stati accettati dalla comunità scientifica studi sui benefici sulla salute delle diete vegetariane e su altre diete basate sui vegetali, soprattutto la riduzione del rischio di molte malattie croniche degenerative e della mortalità totale (Messina e Burke, Position of the American Dietetici Associazioni: vegetariani diets. J Am Diet Assoc 1997; e Sabaté,. Vegetarian nutrition, 2001). I vegetariani nei Paesi sviluppati godono di notevole buona salute, esemplificata dal basso tasso di obesità, malattie coronariche, diabete e numerosi tumori, oltre ad una aumentata longevità (Fraser e Snowdon).

Questi benefici possono essere dovuti sia all’assenza di carne, sia al grande ammontare di cibi vegetali ricchi di principi attivi e antiossidanti. Mentre l’assunzione di carne nella dieta è stata collegata ad un accresciuto rischio di varie malattie croniche come malattie cardiache ischemiche e alcuni tumori, l’abbondante consumo di alimenti tipici della dieta vegetariana come frutta e verdura, legumi, cereali non raffinati e semi oleosi, è stata associata in modo consistente ad un più basso rischio di molte malattie degenerative croniche, e in alcuni casi ad una maggiore longevità.

I grandi studi sulla dieta e la salute di migliaia di soggetti vegetariani e no hanno rivelato tra i risultati molte più associazioni tra i cibi vegetali e malattie croniche che con i cibi animali come carne o formaggi. Tutti gli effetti protettivi erano osservati per i primi, mentre tutti quelli rischiosi erano riferiti ai secondi. Il che lascia presumere - argomenta Sabaté - che gli effetti positivi dei cibi vegetali sulla prevenzione delle malattie croniche sono probabilmente più definiti degli effetti negativi dei cibi carnei.
Abbiamo visto come siano ormai più le sostanze non nutrizionali o addirittura antinutrizionali a fare degli alimenti tipici delle diete vegetariane dei regimi alimentari protettivi. Di conseguenza l’aumentato rischio di cancro e malattie cardiovascolari in chi non è vegetariano e segue una dieta con larga presenza di cibi animali, contrapposta negli studi scientifici alle diete vegetariane, potrebbe essere dovuto non solo ad un eccesso di calorie, di grassi totali e saturi, e di altri nutrienti, ma anche a una deficienza o ad una presenza marginale proprio di quei phytochemicals così abbondanti nelle diete vegetariane, ma non ancora etichettate, per una ingiustizia scientifica che penalizza proprio l’alimentazione più protettiva, come nutrienti.
NICO VALERIO

AGGIORNATO IL 24 DICEMBRE 2014

13 giugno 2008

Minestrone sodo, piatto di legumi o purea, in una pagnottella integrale.

"E’ del poeta il fin la maraviglia", teorizzava G.B.Marino, insopportabile verseggiatore del Seicento. Ma sembra anche il fine del cuoco, dai tempi più antichi. "E chi sono io, una casalinga? Tsè, gli faccio vedere io, gli faccio…", deve aver detto il cuoco del burino arricchito Trimalcione (Satyricon di Petronio, unico romanzo dell’antica Roma, segno che di romanzi si può, si deve, fare a meno), mentre riempiva di incolpevoli uccelli con tutte le piume il ventre della povera scrofa, a sorpresa, e perciò da quel momento giustamente detta "troia", dall’omonimo cavallo riempito di soldati.

Ebbene, ora anche le casalinghe, e vegetariane per giunta, si mettono a imitare in sosprese i sorprendenti cuochi per ricchi carnivori. Eh, non ci sono più le casalinghe semplici d’una volta! Oggi, per non assomigliare alla nonna della favola davanti al focolare, le fanciulle dai 16 ai 50 sono tutte alternative e anticonformiste, salvo poi ricordarsi nella terza età di recuperare "nostalgicamente" le buone cose d’un tempo. Quale tempo? Non certo il loro. Semmai quello altrui. Una nostalgia tutta intellettuale e snob, per interposta persona.
E che cosa non s’inventano, col pretesto dell’originalità, pur di non usare e quindi lavare i piatti! La vegetariana Vanessa, credo di New York, ci offre l’idea di questa minestra densa di ceci e scarola in crosta. E’ invitante già solo come idea. Per crosta si intende un robusto panino rustico, meglio se integrale, svuotato della sua mollica, come si vede chiaramente nella foto.

Ma in Italia, patria delle minestre, perfino i filosofi sanno che una zuppa – come la chiama la Vanessa – non si può versare dentro un panino com’è raffigurato nella foto, a meno che non ci sia sotto una profonda scodella a raccogliere il liquido che sicuramente trasuderà. Per carità, anche questa variante nella presentazione non è pessima, ma si perde qualcosa in sorpresa.

Vi consiglio, perciò, innanzitutto di guardare bene la due fotografie, di "leggerle" alla Sherlock Holmes, e poi di modificare semmai la ricetta o di interpretarla come un minestrone sodo o un minestra densa alla Toscana, ovvero una zuppa pochissimo liquida ("il cucchiaio vi deve rimanere ritto" dice l'adagio contadino), se non volete incidenti alluvionali a tavola, e far naufragare nel ridicolo una serata che doveva essere romantica, perdendo così la vostra fresca "conquista" che stavate ingenuamente cercando di prendere per gola o senso estetico. Il sistema della pagnottella integrale svuotata va benissimo anche per contenere purea o qualsiasi piatto di legumi.

Le dosi e i componenti li riaggiustate voi a piacere. Quella di Vanessa è solo un’idea, uno spartito su cui potete improvvisare con genialità. La pagnottella robusta e di rustica fattura (a trovarla!) fate prima a farvela in casa con la farina integrale, tipo Alce Nero. Mi raccomando, non sostituite la scarola o l’indivia, che hanno gusto leggero adatto a sposarsi con i dolci ceci (pochissimo sale, per favore, se no si uccide il loro gusto unico), con le verdure acidule come bieta e spinaci. Non usate i dadi per brodo, sia pure veg, perché sono tutto sale. Complimenti a Vanessa per il rosmarino, un’erba molto italiana che sui ceci ci sta bene. Ma che i ceci non siano in scatola, sia pure "bio", come concede la pigra cuoca. Perché perdono più vitamine B. L’aglio non va mai affettato, come dice la cuoca, perché l’allicina agirebbe solo lungo la sezione tagliata, e così si è portati ad ingoiare le fettine intatte, inutili e indigeste. Va spremuto nell’olio (il suo principio attivo è volatile) con l’apposito spremi-aglio: così è molto più efficace, potente e perciò se ne può usare la metà. Olio extra di oliva sulla pagnottella già riempita.

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E un augurio un po’ triste e romantico a questa misteriosa Vanessa, che ha interrotto il suo blog ("Vannesscipes", sintesi tra Vanessa e recipes, ricette) nel gennaio di quest’anno e ora lo ha cancellato. Ma internet è davvero un villaggio globale e abbiamo trovato il suo album di foto su
Filckr. Dove ci sono sì alcuni suoi piatti vegetariani, ma soprattutto si vede lei incinta. Tutto spiegato? La seconda foto è tratta dal Corriere della Sera online.

AGGIORNATO L'11 GENNAIO 2016

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10 giugno 2008

Cibo non violento? Noi ci proviamo se possibile. Ma, certo, non è tutto.

Un luogo comune che ascoltiamo di frequente dice: "L’Uomo è l’unico animale che beve il latte (e mangia le uova) delle altre specie”. Perciò non è "naturale" nutrirsene.

Non è vero. Basta vedere quanto sono ghiotti di latte gatti, topi e molti altri animali, e come tanti animali predatori saccheggiano le uova nei nidi. Ma se anche fosse?

L’Uomo è anche l’unico animale che ha creato il Colosseo, le Piramidi, l’astronomia, il diritto, l’ingegneria, la letteratura, la scienza, l’agricoltura. Tutto ha creato, inventato e modificato l’Uomo. E questo, appunto, si chiama Civiltà e Cultura.

L'Uomo non è un animale come tutti gli altri.

Nessuno aggiunge che l'Uomo è l'unico animale che ha creato i suoi stessi “alimenti”, col drammatico metodo "prove ed errori". E quante morti ci è costato questo metodo! (che comunque era sempre preferibile al darsi per vinti e morire di fame, oppure al continuo avvelenamento di massa). L’Uomo è anche l’unico tra gli animali a selezionare e coltivare e consumare broccoli, zucchine, peperoni, insalate, mele, arance, pane, pasta, fiocchi d’avena, legumi, riso, germogli di soia, addirittura

Il cibo è in sostanza creazione culturale dell'Uomo.

Ma gli alimenti possono essere intrinsecamente violenti o non-violenti. E i vegetariani si limitano ai cibi non-violenti.

Solo i frutti e i semi, il latte degli animali e le uova sono cibo davvero non-violento, di cui l'essere vivente vegetale o animale si libera senza danno, insomma non legati intrinsecamente alla morte e alla violenza. Perciò, cereali, legumi, semi oleosi e frutta, sono il nostro cibo antropologicamente ed eticamente più adatto, insieme con latticini e uova, che non prevedono l’uccisione degli animali.

Non bastano? Potrebbero bastare, invece.
Anche se va aggiunto che gli stessi allevamenti, che rendono disponibili latticini e uova a enormi popolazioni, sono di per sé una piccola-grande, ad ogni modo continuativa, forma di violenza, sia pure molto minore della uccisione. Però, a rigore di etica assoluta, anche gli orti e le serre da cui si ricavano individui vegetali interi, non solo frutti (p.es. un cespo di lattuga), e ovviamente le coltivazioni intensive che danno frutti e semi, sono forme di violenza nei confronti dei vegetali. 

Ma, come usava ripetere un grande saggio indiano cultore di Ayurveda, “qualcosa dovrà pur mangiare l’Uomo, se non vorrà morire di fame e fare una grande violenza a se stesso”. Così ammetteva che un qualche minimo grado di violenza è connaturato alla biologia, e che tutte le nostre lotte dovranno essere finalizzate a eliminare le grandi e perfettamente sostituibili violenze, come le uccisioni dell’uomo e degli animali. E dopotutto, anche la stessa biografia umana è intrisa di violenze, piccole e grandi. Perciò dovere morale dell’Uomo è eliminare almeno le grandi.

Per il resto, la Natura non offre all'Uomo nessun altro cibo non-violento. Anche nell'orto, ripetiamo, a voler essere pignoli, una piantina di ravanello, un cespo di radicchio, in quanto piante intere, sono individui che hanno vita, che nascono, vivono e muoiono. E noi, mangiandoli, quelle vite distruggiamo. E ci dispiace. Ma non possiamo fare altrimenti. E' necessario, voluto dalla Natura, dalla nostra natura, come ricordava il saggio. La Tradizione, cioè la cultura antropologica, ed ora anche la Scienza biologica, ci spingono a nutrirci sempre di più anche di verdure, sotto forma di piante intere. Solo pomodori, peperoni, melanzane, cetrioli, zucca e zucchine, essendo botanicamente "frutti", non partecipano di questo drammatico rapporto "mors tua vita mea" tra l'Uomo e il mondo vegetale.

Ma la Natura non offre sufficienti alimenti spontanei adatti all’Uomo, visto che non sembra tenerne conto. E per questo non dovremmo mangiare nulla? Anche questa sarebbe violenza, ma su noi stessi come specie e come individui.

Perciò, la non-violenza "assoluta" è impossibile, tantomeno a tavola. Anzi, è incompatibile con la Vita. La pecora si nutre d'erba, il lupo si nutre della pecora. Anche per l'uomo più attento, camminare vuol dire uccidere formiche e insetti, perfino respirare e mangiare vuol dire distruggere col sistema difensivo (fagociti, cellule "natural killer" ecc) virus e batteri.

Ma allora che differenza c'è tra l'onnivoro, che non si pone nessun problema e divora di tutto, e il vegetariano? C'è una grande differenza: una diversità di misura. Il vegetariano cerca non di eliminare – che sarebbe impossibile – ma almeno di ridurre al minimo la violenza del cibo, evitando con intelligenza sia di fare violenza a se stesso, perché anch'esso è un animale, sia di uccidere i fratelli animali (come invece fanno gli uomini onnivori). Il vegetariano ("lacto-ovo-vegetariano", dicono i biologi) usa tutti i vegetali utili, indispensabili alla propria vita, integrandoli con i "frutti" che gli animali rilasciano da vivi, che l'Evoluzione, la Tradizione e la Scienza giudicano necessari all’Uomo. Inoltre, si adopera per ridurre le sofferenze degli allevamenti.

E la ricerca scientifica, la prevenzione, la scienza della nutrizione, la storia e l'etica gli danno ragione.

E infine il vegetariano di questa specie rara, cioè consapevole e razionale, quindi davvero non-violenta perché salvaguarda anche la dignità e l’intelligenza, sa che non può ridurre il problema immenso della violenza alla sola alimentazione, e che il cibo non è tutta la vita, e che una tavola anche perfettamente non-violenta non vuol dire che quella persona lo sia, che non basta un cibo tendenzialmente o anche perfettamente vegetariano a debellare la violenza e la morte dalla vita umana e dalla Natura. La Natura stessa è intrisa di morte e violenza, che sono, anzi, funzionali, necessarie, al suo continuo divenire.

Il vegetariano saggio e razionale sa, perciò, che la non-violenza la deve costruire giorno per giorno nella propria vita, in famiglia, nel luogo di lavoro, nella società, anche a prezzo di grandi sacrifici e di lotte, perché le falsità siano sconfitte dalle verità (lotte che però per coerenza devono essere non-violente); e sa che le sue lotte non-violente sono intraprese  quasi sempre tra violenti, quindi sono prolungate e spesso inefficaci.

Sa anche che l’alimentazione è solo una piccolissima cosa nella biografia di una persona, e che nel bilancio etico contano molto di più i rapporti con gli altri singoli esseri umani  (parenti, amici, colleghi, sconosciuti) e con la società e l’ambiente (ecologia, tutela di piante e animali, leggi, economia, finanza, politica, sindacati, consuetudini, religioni, credenze, dialettica sociale, concorrenza, rapporti tra Stati, conflitti armati ecc.).

Perciò, se inserita in una personalità che lotta per il prevalere dell’onestà e del bene comune, dell’intelligenza, della verità e dell’altruismo, la costante preoccupazione per il risparmio delle vite biologiche ha un senso, e la non violenza anche a tavola ha un alto valore morale, etico, psicologico, sociale e scientifico.

Altrimenti, quella vegetariana è una dieta come tante altre.

AGGIORNATO IL 7 MAGGIO 2015

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09 giugno 2008

La dieta Vegetariana più completa. Lacto-ovo rispetta animali e uomo.

E’ davvero completa la dieta onnivora, cioè quella più comune? In teoria sì, ma in pratica no. Perché oggi, per la pigrizia di chi non ama cucinare, è sempre più una dieta “carnea”, anzi, iper-carnea. Si è notato infatti che chi mangia carne (da noi veg definito ironicamente “carnivoro”, come se fosse un animale) finisce quasi sempre per mangiarne troppa, convinto che sia l’alimento “più rapido” da cucinare e “più nutriente”. Doppio errore.

Ma così si finisce per praticare una dieta sbilanciata, spesso troppo ricca di proteine animali, e carente di fibre (nella carne mancano totalmente). E poiché chi mangia abitualmente carne non si interessa certo dell’aspetto salutistico e preventivo del cibo (la prova è che ignora o non dà importanza al fatto che la carne cotta ad alta temperatura è cancerogena), la dieta onnivora o mista è quasi sempre poverissima di legumi, cereali integrali, verdure e frutta. Inutile aggiungere, poi, che nella carne non esistono sostanze antiossidanti o anti-cancro. Il che, ora che sappiamo che il cibo, il nostro normalissimo cibo di tutti i giorni, perfino se biologico, è ricco anche di sostanze naturali tossiche o cancerogene che vanno neutralizzate da antiossidanti, equivale a dire “ad alto rischio”.

La ricerca moderna, sulla base degli studi epidemiologici, ha provato che la dieta scientificamente più sana e protettiva è quella "mediterranea", che i ricercatori descrivono in pratica come una sorta di alimentazione storica, cioè selezionata nel tempo, a grande preponderanza vegetale, tendenzialmente vegetariana. Noi invece, non facciamo altro che estendere un poco il concetto, interpretandola come compiutamente vegetariana. E il vegetarismo migliore perché più completo, più adatto all'Uomo perché meno lontano dalla sua Storia, biologia e natura, è quello lacto-ovo vegetariano.

Anzi, meglio sarebbe dire, alimentazione “naturista-vegetariana”. Perché “naturista”? Perché deve avere sempre un occhio attento al viver sano e secondo Natura (sia natura esterna, come ambiente-piante-animali, sia natura dell’Uomo, cioè le nostre esigenze tipiche della specie. Di qui la ricerca anche storica del nostro “cibo tipico”, scelto per prove ed errori, “elettivo”. L’armonia con l’ambiente significa anche una minore violenza antropocentrica. E attenzione alla naturalità e semplicità del cibo, e alle sue proprietà protettive, visto che proprio il Naturismo igienico e medico che si ispira a Ippocrate, riduce i rischi delle gravi malattie degenerative dei nostri tempi, dall’obesità alle malattie cardio-circolatorie, dal diabete al cancro. Lo dicevano i medici antichi, lo conferma la scienza moderna.
Ma deve essere ben bilanciata e completa – si raccomandano nutrizionisti e dietologi – meglio se completata da piccole quantità di uova e latticini, per non danneggiare paradossalmente l’animale Uomo. Del resto, così si sono nutriti milioni di Antenati per lunghi periodi, senza sapere che quella loro dieta necessitata e inconsapevole si sarebbe chiamata un giorno “vegetariana”. La Dieta Lacto-ovo-vegetariana è coerente con la Storia dell’Uomo, è stata sperimentata per millenni “per prove ed errori”, sia pure come tendenza o necessità o realtà di fatto, non come scelta consapevole. Perciò, assomiglia molto al regime di “alimentazione naturale” che la specie umana ha seguito istintivamente per lunghi periodi.

Il vegetarismo, che è anche una filosofia di vita e un’etica, sul piano strettamente alimentare consiste nell’escludere ogni cibo che renda necessaria la morte d’un animale, perciò carni fresche, salumi, pesci, crostacei. Il che vuol dire mettere al centro della propria tavola cereali (meglio se integrali) e legumi, verdure crude e cotte, semi oleosi, erbe aromatiche, frutta fresca, ma anche latticini (la ricotta, fresca o essiccata, la le proteine migliori perché deriva dalla lattoalbumina (siero) e non dalla caseina), yogurt, panna, uova, miele.

La moda americana del “fish-vegetarism”, ridicola già nel nome (il pesce che cos’è, una verdura?), vorrebbe dare a intendere che si può chiamare vegetariana una dieta che uccide un animale. Che poi sia “senziente” o no (altra sciocchezza molto diffusa) non vuol dire nulla. Se anche fosse dimostrato che le vongole o le alici o il tonno non provano dolore, sempre comunque un vegetariano vero dovrebbe escludere con decisione pesci, molluschi e crostacei dalla propria tavola. Non per il “dolore” procurato, ma per un principio etico: non uccidere. Che cosa c’entra il ”dolore”, tirato in ballo da non pochi vegetariani? Sarebbe come dire che un uomo, purché imbottito di analgesici e sedativi, cioè fuori dello stato di coscienza, potrebbe lecitamente essere ucciso? Una tesi aberrante.

Del resto, nessuno è obbligato a essere vegetariano. E’ una scelta tipica di persone sensibili e conseguenti sul piano morale ed etico. Ci vuole, non di fronte agli altri, ma di fronte a se stessi, un minimo di coerenza. Anzi, noi vorremmo anche un massimo di coerenza, come il comportarsi in modo non-violento anche e soprattutto lontano dalla tavola, nella vita quotidiana, nei rapporti con gli altri uomini. Cosa che pochissimi vegetariani e vegan fanno, riducendo tutta la loro ricerca di non-violenza al solo pasto, che è una piccola espressione della vita.

Quindi, non uccidere animali, è il primo comandamento di un ideale decalogo della non-violenza. Anzi, in teoria, se fossimo pura intelligenza senza corpo e quindi senza bisogni nutritivi, non dovremmo neanche uccidere vegetali, come pure facciamo mangiando i cespi di insalata, un ravanello, il broccolo ecc. Ma dobbiamo pur vivere, e se non vogliamo fare una violenza grave all’animale uomo, cioè a noi stessi, qualcosa dobbiamo pur mangiare.

Ma potremmo mangiare soltanto alimenti assolutamente non-violenti? Certo: la frutta, i frutti dell’orto (pomodori, zucchine, peperoni ecc.), i semi (legumi, semi oleosi, cereali), il latte, i latticini, le uova e il miele, sono tutti alimenti davvero non-violenti, perché non causano la morte, né della pianta – che è un vivente, ma spesso lo dimentichiamo – né dell’animale da cui provengono. 

E le verdure? Unica eccezione sono le verdure a foglia, le radici e i gambi, fateci caso, proprio i cibi considerati più innocui: sul piano filosofico e anche biologico non sono diverse dalle carni, perché la loro “raccolta” causa la morte del vivente. Purtroppo quasi sempre la raccolta d’una pianta di verdura significa la fine della vita per quell’individuo vivente (spinaci, lattuga, indivia, ravanello, cardo, sedano, basilico, prezzemolo, aglio, cipolla, rapa ecc). Perché “quasi sempre”? Perché alcune verdure, che ugualmente sono tagliate senza pietà, potrebbero teoricamente continuare a vivere per poco, anche se private dell’infiorescenza (carciofo, cavolfiore, broccolo ecc.), ma ritenute ormai “inutili” sono estirpate o lasciate seccare.

Triste a dirsi, è proprio la nostra vita, anzi, la Vita stessa sulla terra, che si basa sull’alternanza di vita e morte, comunque di varie forme di violenza. La vita nasce dalla morte, e a sua volta di conclude nella morte. Legge inesorabile della trasformazione universale e dell’ecologia. Violenza, morte, che possiamo, dobbiamo ridurre, ma non riusciamo a eliminare del tutto. Perché altrimenti neanche l’animale Uomo potrebbe vivere.

Infatti, proprio le verdure, a rigore esseri viventi come tutti gli altri, anche se classificate dagli studiosi come gradi inferiori nella complessità dei viventi e le più lontane dall’Uomo (ma attenti a non cadere in una sorta di razzismo delle specie), sono state per millenni il cibo più diffuso e abbondante, il vero amico (mal ricambiato) dell’Uomo affamato, che non si poneva certo simili problemi filosofici. E del resto i saggi dell’India, tra i quali gli antichi gimnosofisti, da cui la filosofia e la pratica del Vegetarismo proviene, avevano già risolto il problema, con una umanissima e realistica mediazione: siamo uomini, non anime, quindi bisognosi di alimenti. Dunque, i più sensibili di noi cerchino di evitare almeno le violenze inutili alla propria salute, escludendo cioè l’uccisione degli animali e nutrendosi – se vogliamo essere non-violenti – soltanto di alimenti che no causino la morte dell’animale.

Questa è la famosa “dieta vegetariana”, di gran lunga il più diffuso e antico dei regimi alimentari alternativi (vegetarismo, macrobiotica, veganismo). Si chiama anche “Vegetarismo completo” o “Dieta Vegetariana completa”. Ma è significativo che negli studi medico-scientifici di tutto il mondo sia denominata “Lacto-ovo-vegetarian Diet”, cioè dieta lacto-ovo-vegetariana. Di qui il nome del nostro sito.

Ha tutti i princìpi nutritivi, non manca di nulla, neanche della vitamina B12 o del ferro. La rara B12 è presente in latticini, latte, yogurt, formaggi e uova (v. apposita monografia con tutti i segreti per utilizzarla al meglio, per non distruggerla e per non rischiare la carenza grave). Il ferro, anzi, è paradossalmente più abbondante nel vegetariano completo che negli onnivori, in media, perché ne sono ricchi legumi e alcune verdure, sempre presenti nel piatto vegetariano). Nutrizionisti, dietologi, medici specialisti in alimentazione, che ci guardano storto se diciamo di aver abbracciato la dieta “vegana” (quella estrema senza latticini né uova né miele, praticata da poche persone), non possono dirci nulla. Al massimo vorranno sapere se davvero la nostra dieta pratica, nome a parte, nella realtà di ogni giorno apporta tutti i nutrienti necessari. Perché, attenzione, si può mangiar male, avere cioè una dieta sbilanciata e carente, quindi poco sana e non protettiva, con qualunque regime alimentare, anche vegetariano. Per questo, non basta aver fatto una “scelta di vita” un bel mattino di qualche mese o anno fa, ma bisogna controllare, avere un atteggiamento vigile e critico verso la propria dieta ogni giorno, ad ogni pasto.

E la dieta “vegan”? E’ molto più radicale ed estrema. Esclude, oltre a carni e pesci, anche latte, yogurt, latticini, formaggi, uova, miele, alimenti che l'Uomo, a differenza della carne, ha sempre consumato in modo regolare, tanto è vero che gli inizi di quasi tutte le Civiltà furono pastorali. E’ una forma di auto-privazione etica che va al di là dell’uccisione degli animali e, innovando totalmente con la Storia e le tradizioni antropologiche (mai, se non forse – e non è provato – presso remote comunità di monaci in Oriente, è stata praticata in passato), esclude dall’alimentazione dell’uomo qualsiasi alimenti di origine animale, compresi i frutti non-violenti e spontanei come latte e uova.

Ha sicuramente molte carenze, di cui una molto importante: la vitamina B12, che si trova solo nel cibo animale e che senza la quale l’uomo – è dimostrato – non vive bene. Si esclude quindi che sia più sana.
Ma è vero che la dieta vegan è più “etica” di quella vegetariana? Non è detto, anzi spesso è vero il contrario, paradossalmente. Perché un regime alimentare vegetariano completo, cioè lacto-ovo-vegetariano, è molto più facile e semplice da mettere in pratica, molto più duraturo di uno vegan, in quanto molto più tollerabile da chiunque: bambini, giovani e vecchi, uomini e donne. Quindi si estende rapidamente e così incide di più sul costume sociale e sulla salute individuale, perché grazie al minor rischio di carenze nutrizionali non allarma parenti, amici, dietologi, nutrizionisti e medici. Mentre una dieta veganiana, che è molto più complessa e difficile da realizzare per evitare carenze, spesso – se non sempre – deve essere interrotta anzitempo per “ordine” del medico, anche perché altrimenti finirebbe per compiere danni al soggetto che l’ha messa in pratica improvvisando a cuor leggero e senza una cultura scientifica adeguata, come si accenna ironicamente in un articolo.

Certo, neanche l’antica dieta lacto-ovo-vegetariana rende inutili gli allevamenti, che per quanto antichissimi (a 10.000-8000 anni a.C., a seconda della specie, risalgono le domesticazioni, non tanto diverse però da quelle di cani e gatti, spesso innaturalmente presenti e senza un minimo di auto-critica nelle case di persone che poi criticano duramente gli allevamenti di vacche, pecore, capre e galline, o l’ammaestramento nei circhi) sono spesso indubbiamente una forma di violenza. E come potrebbe? Del resto, neanche i pochissimi vegan, a maggior ragione perché pochi, potrebbero ridurli in modo visibile o addirittura vietarli. Quindi non è corretto né onesto invitare a “diventare vegan per eliminare gli allevamenti”, riduzione o eliminazione che solo gli onnivori di tutto il Mondo potrebbero ottenere, non certo i vegetariani. Velleitarismi, utopie irrealizzabili, demagogia e bugie, magari per avere più iscritti al proprio club e quindi più finanziamenti, che non hanno giovato all’intero movimento Veg

Allora è molto più utile e fattibile, quindi più onesto, battersi come fanno i vegetariani per ridurre al minimo gli allevamenti, grazie alla minore richiesta di mercato in un Mondo in cui solo pochi mangeranno carne (e in minore quantità), propugnando il ritorno a forme minime, naturali e non-violente di allevamenti, simili a quelli semibradi degli Antichi.

E l’efficienza psicofisica? Il lacto-ovo-vegetariano mostra un tono nettamente migliore nella vita d’ogni giorno. E’ questo il punto cruciale, come ho avuto modo di osservare attentamente su numerosissimi soggetti. L'esperienza quotidiana in ogni occasione, anche sportiva, ha fatto vedere una situazione di cui quasi nessuno parla. Io stesso, scrivendo i libri Il Piatto Verde e L’Alimentazione Naturale, ho citato autori e studi che magnificavano il rendimento di atleti vegetariani. Li ho riferiti con obiettività e compiacimento. La cosa mi faceva molto piacere, essendo io stesso contemporaneamente vegetariano e cultore del movimento o esercizio fisico, specialmente nella Natura (che per un vegetariano dovrebbe essere la norma). Ma – delusione atroce – la realtà che ho sempre osservato con i miei occhi come guida di centinaia di escursioni in montagna o in pianura è stata ben diversa. Tanto da far pensare o che nelle interviste i famosi sportivi “vegetariani” non dicessero la verità ai giornalisti sulla propria dieta, per apparire più popolari o per costruirsi un’immagine “buona” e positiva, oppure che ricorressero in realtà – dieta veg o no – a una gran mole di sostanze e farmaci. E, chissà, forse proprio la purezza di una dieta veg aveva il compito di ripulire la coscienza degli sportivi professionali da trucchi, integratori e pillole.

E ho anche visto una realtà che non risulta dagli studi scientifici sui vegetariani, evidentemente condotti su soggetti selezionati in un certo modo: che, cioè, i vegetariani tutti (lacto-ovo e vegan) sono meno inclini allo sport, allo sforzo fisico, cioè non solo a superare ma addirittura ad affrontare lo stress della fatica, rispetto agli onnivori. Da vegetariani c’è da restare sbalorditi e dispiaciuti da questa realtà psicofisica (forse più psicologica che fisica) così diversa dalle interviste che si pubblicano – che alle volte sembrano essere propagandistiche – e che a mia volta ho diffuso e ripubblicato. Anche amici veg ciclisti (compreso uno che faceva mostra di muoversi tutto il giorno in bici) praticavano questo esercizio con estrema moderazione, cioè a bassa o bassissima intensità. Più volte invitato a un’escursione a piedi tra boschi e monti, in oltre 30 anni quell’amico veg “ciclista soft” ha sempre rifiutato. Certo, bisognerebbe condurre uno studio serio e controllato su migliaia di soggetti, sia lacto-ovo, sia macrobiotici, sia vegan.  All’interno di questa tendenza, però, si nota empiricamente, cioè con la semplice osservazione critica e comparativa, che il lacto-ovo vegetariano sembra vivere, camminare, correre, saltare meglio del vegan, sia più tonico e attivo, più incline all'esercizio fisico, meno soggetto a debolezza e fatica. Così come appare più bilanciato nell’equilibrio psicologico e di fronte allo stress emotivo.

Non è un caso che, per esempio, che nelle prolungate escursioni in montagna, aperte a tutti gli amanti della Natura, pochi sono stati i vegetariani osservati, ma certo mai nessun vegan. Segno di una dieta lacto-ovo-vegetariana più efficace, di una vegan meno efficace, oppure di un problema psicologico di stato “difensivo” e di insicurezza che tocca tutti i “veg”, come se – è solo un’ipotesi teorica – le diete veg, tutte e in particolare quella vegan, fossero viste inconsciamente da molti praticanti come “diete ad alto rischio” (il che non è assolutamente vero, dice la Scienza) e quindi dovessero essere accompagnate da comportamenti prudenziali e di estrema cautela nella vita quotidiana? Non è ancora ben chiaro. Ma temo tutte e tre le cause.

Fatto sta che permane, non solo nel vegan ma anche nel lacto-ovo-vegetariano, un certo timore di esporsi allo sforzo fisico, una sorta di paura per il movimento e per la messa “alla prova” del proprio corpo in condizioni ritenute “estreme”, “non normali” (e che invece sono normalissime da che mondo è mondo). Insomma parecchi veg – e non mi riferisco certo ai tanti “veg da palestra” inclini agli integratori – pare quasi che vivano “frenati”. Ma evidentemente la dieta non c’entra sempre: ci devono essere problemi psico-fisici, in alcuni casi, all’origine stessa della drastica scelta alimentare, lacto-ovo o vegan che sia.
E c’è, a proposito di esercizio, efficienza e palestre, anche un altro aspetto, come dire, “etico-tossicologico” o, se la parola disturba, “etico-chimico”. il lacto-ovo-vegetariano non ricorre o fa ricorso di meno e di rado a quello che potrebbe essere considerato un vero e proprio "doping" (se fosse efficace): l'integratore. Che è, diciamola tutta, una grande e inescusabile ipocrisia, un alibi per poter continuare a considerarsi "puri" e "non-violenti totali" senza esserlo affatto, e anzi truccando la dieta naturale con le pillole, continuando perciò a mangiare male. Se non è disonestà, questa...

E' proprio sul piano etico, quindi, prima ancora che su quello salutistico, che spicca l'onestà del lacto-ovo-vegetariano. E' un realista, dice la verità.

Il lacto-ovo-vegetariano dà a intendere meno del vegan che nella vita reale (famiglia, scuola, lavoro, rapporti inter-personali, tempo libero, cultura, politica, economia ecc.) ci si può comportare come tutti, se non peggio, quasi che l’intera vita non fosse così importante come la dieta. Insomma, solo a tavola è possibile eliminare la violenza del Mondo?  E’ assurdo. Al contrario: la coerenza nella vita quotidiana è molto più importante di qualsiasi dieta.

Ma il lacto-ovo-vegetariano saggio – e non so quanti ce ne siano così – dovrebbe ammettere che l'Uomo, pur il più consapevole, generoso, altruista, ma pur sempre Uomo, cioè intriso di vita e di morte come tutti gli animali, anzi, contraddizione vivente di altruismo e violenza, egoismo e generosità, ragione e istinto, buonsenso e follia (anche Hitler, dopotutto, amava gli animali ed era dolce coi bambini), non può cambiare il Mondo stando seduto alla propria tavola. Sarebbe troppo comodo e facile. L’uomo può soltanto ridurre la violenza, cercare di ridurla al minimo compatibile con la vita, se e quanto è possibile. Cominciando dalla tavola, certo, purché si applichi coerentemente la non-violenza anche a tutti gli altri aspetti della vita. Non è onesto affermare che

Ecco perché è logico, doveroso e anche utile limitare o, per quanto riguarda noi vegetariani, evitare le uccisioni degli animali "da carne". Perché la “carne” vuol dire la morte di altri esseri viventi, gli animali, senza poter dare la vita all’Uomo. Per noi è storicamente e nutrizionalmente inutile. Nessun uomo si avventa su un animale e neanche su una bistecca quando ha fame, anche perché la carne non sfama: non ha carboidrati. E infatti nella Storia è sempre stata poco o pochissimo o sporadicamente consumata. E non ha neanche le migliori proteine – come invece tutti, medici compresi, credono – visto che per valore biologico proteico viene molto dopo uova e latticini (80 rispetto a 100, circa).

Ma la Storia e l’antropologia, invece, danno ragione alla scienza della nutrizione sugli altri cibi proteici, che non prevedono l’uccisione degli animali. Perché la vitamina B12, fondamentale per la nostra vita, sia pure in minime quantità, è presente solo in latticini e uova, se abbiamo deciso di non uccidere e di eliminare la carne.
Segno, quindi, che la nostra Natura pretende questi cibi, anche in piccole quantità. Ed è provato che latticini e uova furono i primissimi cibi dell’Uomo, anche prima degli allevamenti, molti millenni prima dei cereali coltivati, grazie al fatto che sono alimenti già pronti, di facile e immediato consumo. Una completa monografia sulla vitamina B12 che realmente trovano nel cibo i vegetariani è leggibile in un articolo dedicato.

I latticini, del resto, sono stati così importanti storicamente che tutte le nostre civiltà nacquero da pastori, prima ancora che da agricoltori, tanto è vero che perfino gli Etruschi e i Romani offrivano il latte agli Dèi, prima del vino, e le più importanti pietanze di Roma erano a base di latticini: la polentina di miglio macinato cotto nel latte (puls fitilla), il pane rituale per gli Dèi, i matrimoni e le ricorrenze fatto di farina e ricotta (libum), perfino il timballo di lasagne e ricotta descritto da Catone (placenta), il famoso impasto al mortaio di formaggio, aglio, erbe aromatiche e olio da spalmare sul pane di pastori e contadini (moretum),  la bevanda dissetante di latte e crescione (lepidium) dei contadini, ecc. Senza contare la tradizione di cominciare il pasto con l’uovo e finirlo con la frutta (“ab ovo usque ad mala”, dall’uovo alle mele). E il popolo tradizionalmente più vegetariano al Mondo, quello indiano (di religione indu), non per caso i latticini li consuma (anche se non le uova, ritenute a torto quando non fecondate, “alimento destinato ai pulcini”).

Esistono, insomma, prove storiche e antropologiche, oltreché nutrizionali, che l’uomo antico non solo era tendenzialmente vegetariano, ma preferiva consumare latticini e-o uova al posto delle carni di animali che occorreva uccidere. Il che avrebbe comportato non solo un certo grado di violenza inutile verso gli animali ai quali all’epoca era affidata l’agricoltura, ma anche uno spreco economico insostenibile e inammissibile per quei tempi. Uccidere un bue sano era reato grave, per questo motivo. Mentre berne il latte era lecito. E una società del genere dette ottimi risultati, a quanto pare. Creò diritto e architettura, democrazia e tecnologia, la Venere di Milo e la Gioconda (a proposito, quest’ultima fu dipinta proprio da un lacto-ovo-vegetariano). O vorreste tornare indietro, quando la mancanza di proteine (la caccia era difficilissima e sporadica) rendeva l’Uomo un essere brutale sempre alla ricerca di cibo e incapace di costruire società e cultura?

Latticini e uova, insomma, essendo la base della nostra Tradizione sono stati sperimentati per migliaia di anni, non sono un qualsiasi cibo nuovo, inventato dall’industria o dai ristoranti fast-food. In pratica è come se tutta la Storia sia stata, al riguardo, un enorme studio scientifico sulla alimentazione naturale e sull’uso dei cibi proteici non carnei. Ecco perché possiamo ridurli, certo, ma non possiamo eliminare dalla nostra alimentazione uova e latticini. Perché fanno parte della nostra “alimentazione naturale”, cioè antropologica, provata per millenni. Del resto, quanti altri cibi sono stati “provati” così a lungo?

E' la nostra Storia, la Natura, il nostro corpo, che dobbiamo ascoltare, non le filosofie, le religioni e le ideologie, che cacciate dalle università si sono rifugiate nel cibo, tipico refugium peccatorum perché interessa tutti, materia solo apparentemente “facile”, quindi regno dei mediocri e ignoranti della sottocultura di provincia. Ricorderò sempre una lettera di un sedicente, severissimo, club “igienista”: conteneva tanti e tali elementari errori di lingua italiana da far pensare ad uno scherzo. Questo è il livello culturale. Basti dire che un sito e un libro che si intitola abusivamente alla alimentazione “naturale” sono tenuti da un rappresentante di commercio. 

Ma quello che più urta e offende di molti vegan è il ricorso continuo alle bugie, il polemismo eccessivo, il fanatismo da setta, l' aggressività verso chiunque non sia vegan. Sono vizi gravi per chi si definisce e si vanta di essere "non violento" totale, che è invece solo una vanteria infantile, poiché la non-violenza assoluta è una utopia irrealizzabile incompatibile con la vita umana, dato che la natura biologica e la vita dell'Uomo, la sua origine, la sua Storia, sono imbevute di violenza. Violenza che noi umani possiamo - se siamo onesti - solo limitare, ridurre, moderare, ma non eliminare. E tantomeno solo a tavola, che è un piccolissimo aspetto della vita, mentre preponderanti per capire il grado di violenza d'un uomo sono i suoi rapporti con gli altri, le due idee, le sue parole, i suoi scritti, i suoi comportamenti. Altro che il solo cibo. E invece, è diventata una macchietta tradizionale, tanto è frequente, la figura dell'estremista vegan, tanto non-violento a tavola, quanto aggressivo e isterico è nella vita quotidiana con parenti, amici, colleghi di lavoro ed estranei. Basta, come esempio, leggere o guardare, i siti vegan su internet...:-).

Questo rigore inutile mai preteso da nessun popolo nell'Antichità, questa utopia irrealizzabile spacciata per virtù quotidiana, e poi il comportamento contrastante nella vita di tutti i giorni, scandalizzano e danno un'immagine contraddittoria e caricaturale di molti attivisti vegan (e ogni vegan, sia chiaro, tende a essere attivista e propagandista). Ma poi, che altro è la propaganda martellante se non una piccola forma di violenza psicologica? Non è bello di molti vegan, neanche il disprezzo per la Scienza, che è solo la conoscenza della Natura (e il suo contrario è l'ignoranza, perché non esiste una "scienza alternativa"). E poi non parliamo del mare di finti “esperti” imbroglioni che non studiano, leggono solo gli opuscoli, i siti e i libri che piacciono, eppure prescrivono in modo autoritario agli altri, creduloni, diete che essi stessi non seguono. E poi che cosa c'entra lo spiritualismo? Lo spirito che già non esiste nell'Uomo, esisterebbe dunque negli animali, che malgrado il nome, sono ritenuti perfino dai teologi cristiani e islamici che vedono spiriti e anime dappertutto "senza anima"? Invece, torniamo alla Terra e alla sua Storia e storia naturale. Le filosofie e le religioni non c’entrano nulla col cibo, non devono entrarci. E da che mondo è mondo, le teorie filosofiche mal interpretate e le religioni hanno già fatto troppi danni sotto forma di intolleranza, fanatismo, violenze, uccisioni, perché possiamo permettere che si infiltrino anche nell'alimentazione.

Il vegetarismo (lacto-ovo-vegetarian) non basta? Ma se già i vegetariani  sono pochi, pochissimi, in barba alle indagini demoscopiche truffaldine, perché fatte per ingraziarsi l’industria o commissionate da produttori di alimenti veg o bio, come può constatare ogni vegetariano guardando la propria rubrica telefonica o di email ! Perché, allora, si sta verificando negli ultimi anni questa una folle corsa a posizioni sempre più oltranziste, estremistiche, che ricorda certo infantilismo politico degli anni 70? L'amore per gli animali? Non c’entra nulla: è un pretesto. L’animalismo, cioè la non-violenza, è una cosa, l'animalismo estremistico è un'altra, perché è violento.

Non è lecito moralmente strumentalizzare gli animali per criminalizzare altri uomini, o addirittura l'Uomo; è vergognoso utilizzare gli animali per meglio odiare e screditare con la scusa di una presunta "morale" i nostri avversari. Se è inteso così, come puro strumento di lotta “politica” e di odio, il veganismo non è migliore di altre ideologie estremistiche, e il veganiano non è "più buono" o "più onesto" del vegetariano o dell'onnivoro, come – sia ben chiaro – il vegetariano lacto-ovo non è più buono dell’onnivoro. Abbracciare un’ideologia non ci garantisce la retta via. Lo abbiamo sempre avuto sotto gli occhi: filosofi, guru, asceti, monaci, suore e preti, e a maggior ragione vegetariani o veganiani, non sono certo più buoni e onesti degli altri uomini.

Contro gli eccessi missionari e propagandistici di ideologie estremistiche e fanatiche che restringono una pretesa “morale” solo alla dieta, senza toccare tutte le altre attività della vita quotidiana, anzi, diffondendo odio e falsità anti-scientifiche (tre esempi a caso: l’inutilità della vitamina B12 che secondo loro sarebbe “propagandata da un complotto di industrie farmaceutiche”, e la dannosità di latticini e uova, che invece sono stati tra i primi cibi dell’Uomo storico e gli hanno permesso di evolversi e progredire magnificamente), questo sito sarà sempre in prima linea.

La scelta vegetariana, intesa nella sua normale e praticabile accezione storica e scientifica, è da sola così importante, che se la praticassero per ipotesi tutti gli uomini, l'aspetto stesso della Terra cambierebbe. E gli uomini sarebbero meno aggressivi anche tra loro. Non c’è bisogno, perciò, anzi è controproducente, esagerare, estremizzare, inventare, falsificare. Invece, oggi, basta  dare uno sguardo a siti, opuscoli e manifesti in cui si legge che i… macellai sono dei criminali… per rendersi conto, purtroppo, che l'aggressività e il ricorso a falsità infantili di molti sedicenti “vegetariani” e “vegan” supera di molto quella degli onnivori.

Questo sito, perciò, intende svelare le mistificazioni, far notare le contraddizioni e le falsità, denunciare le disonestà nel campo dell'alimentazione vegetariana. Un compito morale ed etico, quindi. Ma anche scientifico, perché la verità è sempre legata alla conoscenza, quella vera, accreditata, riconosciuta dalla comunità dei ricercatori. non da un solo studioso eccentrico che a 80 anni, in pensione, s'ìinnamora non della verità ma di una teoria, e all'improvviso dice il contrario di quello che ha sempre detto e fatto. Ecco, perciò, che le ragioni della Ragione, diventano le ragioni della Morale individuale e anche collettiva (l’Etica). 

Un'Etica della falsità non è Etica: l'Etica vuole le verità, con i pro e i contro, con i pregi e i difetti, con i limiti di tutte le cose della Terra. E anche il vegetarismo, che è un tentativo generoso, solo un tentativo dell'uomo per "ridurre" il male, a cominciare da quello inutile (quello nell'alimentazione), fa parte di questo mondo relativo e imperfetto. E le verità sul cibo le danno solo la Storia e la Scienza. Il vegetarismo, nella sua accezione storica consolidata, cioè lacto-ovo-vegetarismo, non è, non può essere la risoluzione a tutti i mali e le violenze del Mondo: è stupido pensarlo. Neanche elimina il carico della nostra violenza personale, sia caratteriale e comportamentale che biologica (non dimentichiamo che la nostra vita vuol dire la morte per milioni di microrganismi e animali dentro e fuori di noi: basta respirare, mangiare, digerire, camminare). Ma il lacto-ovo-vegetarismo è la migliore dieta possibile per ridurre al minimo quella violenza che è impossibile eliminare del tutto dalla vita dell'Uomo, sia verso se stesso che verso il mondo circostante. E anche provocare carenze è fare violenza. E' un regime alimentare moderato, possibile, relativamente facile, tradizionale per l'uomo (quindi già conosciuto e provato), coerente, sincero e onesto. Non è "perfetto" come nessuna cosa umana, e proprio grazie alle sue "imperfezioni" (pensiamo solo ai microgrammi o milligrammi di caglio animale che saranno presenti in una porzione di qualche formaggio: c'è molta più "vita" batterica destinata a morire, per far vivere noi, nel nostro colon!) che è sincero e tollerante. Ma è onesto, perché non si vanta di cambiare il Mondo e trasformare i criminali in angeli (entrambe falsità) e non dice di essere una "pura" dieta vegan per poi imbottirsi di pillole di integratori (che non solo sono in contraddizione con l'alimentazione naturale, ma anche un'ammissione che non si crede nella propria dieta). Ed è anche più coerente. Se si pensa agli allevamenti, bersaglio tipico dei vegan e che i vegetariani vogliono ridotti molto di numero e allo stato semi-libero, non si può non notare la contraddizione stridente di molti oltranzisti vegan che non solo talvolta fanno violenza a se stessi con le carenze e un regime auto-imposto con masochismo, ma spesso detengono animali da compagnia in casa, quindi in cattività! E che altro è questa "amorevole" prigionia se non un allevamento, anzi, il peggiore, perché per futili motivi? Inoltre, a differenza del regime vegan, spesso interrotto subito per motivi di salute o pratici o per ordine del medico o per mutevolezza d'idee, la dieta lacto-ovo-vegetariana, lungamente sperimentata nella Storia, dura a lungo, quindi ha effetti molto maggiori. Il lacto-ovo-vegetarismo è perciò la migliore mediazione possibile tra la salute dell'uomo e la vita degli animali, tra etica e vita umana. 

AGGIORNATO IL 29 SETTEMBRE 2015

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05 giugno 2008

Legumi meravigliosi. Sono il vero cibo simbolo di tutti i vegetariani.

Legumi assortiti 20 specieSONO IL “PIATTO DI RESISTENZA” PIU’ SANO PER TUTTI, VEG E NON-VEG. .Ve l’immaginate un bel fagiolo, scelto tra i più colorati, impresso in formato gigante sulla maglietta o in un piccolo distintivo a spilla? I Love Beans o Amo i fagioli potrebbe essere lo slogan vincente. Laddove per “fagioli”, ovviamente, s’intende legumi. Anche gli Americani, nel linguaggio popolare fanno questo errore: anziché pulses – che poi, come spesso accade agli Anglosassoni, ha un’etimologia sbagliata provenendo dal lat. puls=polenta – o il raro legumes, dicono nel linguaggio familiare beans). Ad ogni modo, se qualcuno realizza questo originale progetto, di sicuro successo, mi invii per favore il distintivo o la T shirt.
      Guardate quant’è bello, p.es., il fagiolo marmorizzato (immagine 2), immagine ricavata “scontornando” con Photoshop un mucchio informe di fagioli. Perché – si sa – i legumi sono rari nelle immagini, e sempre in compagnia numerosa, cosicché sono rarissime le foto di un seme isolato e ingrandito. Ed è un’ingiustizia anche sul piano estetico. I legumi hanno colori, pezzature, striature, chiazze, sfumature, che li rendono la famiglia di alimenti cromaticamente più variabile e imprevedibile. Per limitarci a quelli in tinta unita, si va dal bianco al nero, dal rosso granato al giallo ocra, dal violetto al celeste pallido. Se i bambini collezionassero legumi, arriverebbero a molte centinaia di specie e varietà locali.
      Già il fatto che in Internet abbondino le immagini di mele, arance e fragole, e scarseggino quelle di ceci, lenticchie, piselli, fave e fagioli, dimostra che l’Uomo moderno è ingrato con i legumi, che sono stati l’alimento di base delle diete popolari nell’Antichità, capaci da soli di rendere forte e adatto al lavoro un uomo, il suo vero “cibo di resistenza” più ancora dei cereali. E allo stesso modo e per le stesse ragioni sono il fondamento nutritivo dei moderni lacto-ovo-vegetariani e ancor più dei vegani: una dieta veg senza legumi sarebbe inconcepibile. Ma anche per gli onnivori, guai a privarsene, con la scusa infantile che “non si digeriscono” o danno il “mal di pancia”. Questo piò accadere, semmai, proprio a chi non li mangia spesso. Ormai la scienza della nutrizione e la medicina preventiva hanno riscoperto i legumi come il gruppo alimentare più adatto a saziare lo stimolo della fame, a mangiare e ad assimilare di meno, e nello stesso tempo a ridurre il rischio d’ingrassare e di soffrire delle più importanti malattie, grazie ai tanti anti-nutrienti protettivi. E anche l’economia domestica se ne giova, per il bassissimo costo di una porzione.
Dicevo del cibo simbolo dei vegetariani. E invece non tutti li mangiano e pochissimi ogni giorno, come dovrebbero. Conosco delle ragazze giovani, vegetariane alle prime armi, che cercano acrobaticamente di farne a meno. Poi, quando si rendono conto che tutti i costosi semilavorati tecnologici e artificiali a base di soia propinati dal business veg e bio (dallo strano "spezzatino" finto di proteine textured, al tofu, fino al gelato di soia) sono solo una brutta copia, meno efficace, del seme di legume di origine, passano finalmente al buon piatto di pasta corta integrale e lenticchie, al riso integrale coi fagioli rossi, alla polenta integrale coi piselli, alle "fave e cicorietta" di Bari, ai ceci con le castagne di Viterbo, e così via.
      E il bello è la varietà. Innanzitutto, ci sono i legumi freschi, cioè col frutto (baccello) verde appena formato o ad uno stadio più avanzato col frutto ben formato ma ancora non perfettamente maturo (fagiolini verdi mangiatutto, fagioli freschi in baccello da sgranare, piselli in baccello da sgranare, piselli in baccello mangiatutto, fave fresche in baccello da sgranare ecc.).
      Ma soprattutto è il mondo dei legumi secchi che apre mille prospettive. Altro che solo "fagioli": esistono - e sto parlando solo dell'Italia - oltre 30 varietà di fagioli in commercio, comprese quelle a diffusione locale. E non parliamo del resto del mondo. Nessun altro cibo come i legumi riflette meglio la biodiversità e la globalizzazione, resa possibile dalla rapidità dei trasporti internazionali.

APPROFONDIMENTI. Sui legumi come “primo cibo dell’Uomo” (pigeon-pea) accanto al sorgo e ad altri piccoli cereali, secondo importanti scoperte archeologiche e di paleo-botanica, si veda in questo articolo. Sui legumi e le loro importanti proprietà preventive, protettive, e perfino anti-obesità, si veda questo articolo dedicato. Sulla loro importanza per prevenire le carenze di ferro si veda in quest’altro articolo (con tabella). Sui fagioli neri, ricchi di particolari polifenoli simili a quelli del cacao (tanto che si possono usare anche in un nostro originale dolcetto di simil-cioccolato, si veda in questo articolo. Sui fagioli di soia, che sono legumi come gli altri, ma con più isoflavoni che si comportano come estrogeni, e quindi interessano anche le donne sulla soglia della menopausa o nella gravidanza tardiva, si veda in questo articolo.
LE VARIETA’. Gli ottimi grandi e lunghi fagioli rossi vengono dal Canada. Alcuni fagioli neri (che quando sono cotti hanno il gusto del cioccolato, grazie agli stessi polifenoli), sono importati dall’India o dal Sud-America. Al mercato coperto di piazza Vittorio, a Roma, ormai degradato e solo l’ombra di quello che fu fino a 10 anni fa il mitico mercato all’aperto, vale la pena organizzare un’escursione apposita solo per scegliere tra le forme e i colori più diversi delle oltre 25 specie e varietà di legumi, oltretutto a bassissimo prezzo, sui banchi degli orientali. Ci sono anche i ceci indiani, più piccoli e di colore bruno, i piselli secchi interi e con la buccia, il favino egiziano, che a differenza delle nostre enormi fave dalla buccia dura si può mangiare intero, le squisite lenticchie piccolissime e sferiche. Tutte e quattro sono specie inesistenti nei normali negozi e mercati italiani.
      I più importanti? Innanzitutto i fagioli (Phaseolus vulgaris), ma solo perché ce ne sono innumerevoli varietà, così diverse per colore e sapore, e anche per dimensioni e forma, da far pensare a specie diverse. Sono simili solo dal punto di vista botanico. Ricordiamo i fagioli bianchi cannellini, i variegati borlotti, i fagioli neri dal corposo sapore di cioccolato (non per caso hanno in comune col cacao alcuni polifenoli), quelli rossi, e così via. Vanno provati e gustati tutti. E poi i grandissimi fagioli bianchi di Spagna o Lima (Phaseolus lunatus) e l'antico fagiolo dall'occhio (Vigna unguiculata) caratteristico non solo per l'occhio nero sul bordo, ma soprattutto per il suo sapore particolare vagamente “affumicato”. Questo era l'unico fagiolo esistente al tempo dei Romani (Dolichos o Vigna spp.)  e a quei tempi doveva essere più piccolo. Poi i ceci (Cicer arietinum), facendo attenzione ad evitare le varietà troppo dure anche dopo l'ammollo e perfino la cottura. Per accertarsene, conta l'esperienza diretta di acquirenti amici o del venditore stesso. Ci sono anche i ceci neri indiani (in realtà di colore bruno medio), più piccoli. Le fave (Vicia faba) e il favino si trovano intere con la buccia o sbucciate e quindi spaccate (i legumi sono dicotiledoni, e ogni seme è diviso a metà). Per i neofiti o non esperti: a cottura ultimata le cosiddette fave “bianche”, cioè decorticate e spaccate, tendono a dare una crema, una purea. Basta qualche energico giro di frusta o forchetta per ottenere una crema densa, che poi versata bollente nei piatti tenderà a rassodarsi.
Piselli freschi e immaturi in baccello (picc)      I piselli (Pisum sativum) si trovano tutto l'anno secchi spaccati (e quindi tendono a dare anch'essi una crema verde, squisita e dolce, ma sui banchi degli orientali possiamo trovare anche i piselli verdi seccati con la buccia. Tendono a restare interi anche dopo la cottura. Naturalmente, avendo la buccia sono più ricchi di sostanze protettive e polifenoli. Esistono anche i piselli gialli. Le lenticchie (Lens esculenta), hanno decine di varietà solo in Italia. Il pubblico, chissà perché, preferisce quelle grandi, americane o turche, o quelle italiane medie, tutte di colore chiaro e a forma di lente fina, ed ha abboccato alla notorietà di costosissime (euro 3-12 al chilo, una pazzia) e improbabili lenticchie di Castelluccio o Ventotene. In realtà, se le paragonate alle piccolissime, scure, quasi sferiche ed economicissime lenticchie cosiddette "di montagna" di origine orientale (euro 1,50 al chilo), vi renderete conto che le nostre famose o ordinarie "da supermercato" sono del tutto insipide, mentre quelle piccole orientali sono molto più saporite, e quindi più ricche di principi attivi.
Crema o zuppa di piselli spezzati I piccoli azuki (Vigna angularis) di color rossastro-marrone, di rapida cottura, e i piccoli, verdi ed economicissimi mung (Vigna radiata), i più adatti a preparare i cosiddetti "germogli di soia" da mangiare crudi in insalata o contorno, ma anche da cuocere rapidamente, completano il quadro semplificato dei legumi che dovrebbero entrare a rotazione nella nostra dispensa. Squisite le rare e ormai costose cicerchie (Latyrus sativus) caratteristiche per la loro forma irregolare, il cui delicato sapore ricorda insieme i ceci e i fagioli. Di queste è bene non abusare, a causa di una tossina (v. articolo dedicato), ma ci pensa il loro prezzo altissimo a fare da deterrente. Più noti i grossi lupini (Lupinus albus), che ancora si consumano sporadicamente, conditi con sale, e si vendono già precotti e deamarizzati per legge (la bollitura in autoclave elimina la pericolosa latirina, veleno neurotossico). Accanto ai ceci tostati, sono gli unici "legumi da passeggio" che si possono mangiare al cartoccio camminando per strada. Una tradizione antica che ormai si va perdendo. E, certo, esiste anche il giallo, tondeggiante ed economico fagiolo di soia (Glycine mas), da cui si ricavano molti prodotti proteici o fermentati comuni in estremo Oriente, come il tofu, il "latte" di soia", il miso, il tempeh, la salsa di soia ecc., ma che allo stato naturale in una cucina normale è poco utilizzabile a causa dell'eccezionale durezza, che a meno di non imbroccare qualche rara varietà tenera, vuole anche ore in pentola a pressione, e spesso ne esce semicrudo.
      Ma a parte i mille sapori e colori diversi, è la versatilità nell'uso gastronomico il bello dei legumi. Con i fagioli e gli altri legumi si può cucinare di tutto, non solo primi e secondi, contorni, germogli crudi per l'insalata, ma anche polpette, torte rustiche ripiene, ravioli ripieni e squisiti dolci, che sono sempre - vi assicuro - più buoni e infinitamente più sani di quelli con la farina di cereali. In Giappone con la pasta di fagioli creano dolci raffinati. Consiglio di provare i tortini dolci di fagioli neri impastati semplicemente dopo la cottura con con miele e cacao, oppure con farina di carruba e un pizzico di zenzero. Una sana delizia che questo blog offre ai lettori. Con l'avvertenza che si tratta anche di un piatto proteico, perciò evitate di consumare un secondo piatto ricco di proteine se avete intenzione di gustare un dolce del genere. Vedere l’apposito articolo.
      Ma se i legumi vincono in gusto e gastronomia, stravincono per l’aspetto nutrizionale e preventivo. Il bilanciamento tra amidi e proteine, abbondanti, nello stesso seme permette di considerare il legume come un "primo" e "secondo" piatto insieme.
      E possono, anzi dovrebbero, essere mangiati spessissimo, anche ogni giorno, a differenza di quanto per errore scientifico consigliato dai nutrizionisti dell’Inran, ente governativo, che non ricordo più se li limita a 3 o 4 volte la settimana. Perché? Non hanno il coraggio di spiegarlo. Riducono i rischi di stitichezza, sovrappeso, obesità, malattie cardio-vascolari e tumori. Talmente ricchi di saponine, inibitori delle proteasi, anti-enzimi, lectine, fibre solubili e insolubili, fitoestrogeni e polifenoli d’ogni tipo, che riducono molto l’assimilazione di ogni nutriente. Quello che è un difetto per i bambini piccolissimi o di chi si nutre "solo" di legumi, come certe tribù poverissime d’Oriente, diventa una ricchezza per tutti gli adulti occidentali, che mangiano troppo e di tutto. Basta, o devo aggiungere altro?

Consiglio vivamente a tutti gli adulti di mangiare legumi ogni giorno. Come facevano gli Antichi e come fanno tuttora i popoli delle aree rurali non sviluppate. Non solo si resta magri, ma è poco meno che una garanzia di dieta sana, quasi un’assicurazione sulla vita.

NON SOLO AL POSTO DELLA CARNE: I LEGUMI SONO UN SALUTARE "CIBO-RISPARMIO" ANCHE PER CEREALI, FORMAGGI E GRASSI. Come inserire i legumi dal punto di vista dietetico? Non basta, anzi è scorretto, aggiungere i legumi alla nostra solita dieta sbagliata limitandoci a consumarli al posto della sola carne (che magari mangiamo solo 2-3 volte alla settimana), come ripete una diffusa credenza popolare di oggi. I legumi non sono soltanto un cibo-surrogato della carne, ma un cibo di grande valore alimentare e protettivo in sé, che deve essere la base di una nuova e antica dieta sana e naturale protettiva, che oggi devono tornare a praticare tutti, anche i più accaniti divoratori di bistecche. 
      Certo, l’ideale è consumarli mangiando meno di tutto: cereali (pasta, pizza, pane, riso ecc), il cui eccesso oggi è così legato ai depositi di adipe e ai rischi cardiovascolari; cibi proteici (salumi e carni per gli onnivori, formaggi in eccesso per alcuni vegetariani alle prime armi. Perfino i dolci possono essere fatti con alcuni legumi, come si faceva un tempo e come si fa ancora in Giappone (trasformando così un cibo glicemizzante in anti-glicemico) Quindi, legumi anche ogni giorno, ma con meno pane-pasta-carne (o anche niente in casi estremi). Purché, ripetiamo, siano molto ben cotti.
      La digeribilità di un alimento così ricco e complesso è molto importante. E i legumi, al contrario di una leggenda di "cittadini che non li mangiano mai", sono digeribilissimi, addirittura più di certe insalate e specialmente radicchi, se sono stati molto ben cotti. Non basta evitare che siano "al dente" come la pasta, ma devono essere portati in tavola molto morbidi. Così, se assunti regolarmente, cioè ogni giorno o quasi, i legumi "modulano" in senso simbiotico la flora intestinale, cioè la selezionano, abituando i batteri del colon a digerire senza fenomeni troppo evidenti (gonfiore, meteorismo, dolori di ventre, specialmente per chi soffre di colon irritabile) i loro oligosaccaridi, come raffinosio, stachiosio, ciceritolo e verbascosio, indigeribili dagli enzimi dell’intestino tenue, ma attaccati dai batteri nel colon. Insomma, i legumi si vendicano – giustamente – degli stolti che li mangiano una volta ogni tanto, e più se ne mangiano più si digeriscono e fanno bene. Perché hanno un ruolo di risparmio nutrizionale.

Con i legumi ci si nutre, si gustano piatti squisiti, si abbassano tutti i rischi (stitichezza, emorroidi, sovrappeso, obesità, malattie cardio-vascolari, diabete alimentare, tumori), non si è costretti a mangiare carne (o anche troppi formaggi) e si resta magri, agili e scattanti per tutta la vita. Vedi il popolo d’India che fa perfino il pane con la farina del legume dhal.

Il legume, perciò, è il migliore amico dell’uomo: consumiamolo anche ogni giorno, soprattutto noi vegetariani.

AMMOLLO E BUONA COTTURA, ELEMENTI FONDAMENTALI. Ma, ripeto, che i legumi siano ben idratati e molto ben cotti. Per questo, vanno lasciati in acqua un'intera notte (per le lenticchie non c'è bisogno, oppure basta un'ora), poi vanno cotti in pentola a pressione, metodo naturalissimo e senza il minimo rischio (ogni pentola ha 2 o 3 valvole), che ha il doppio vantaggio di ridurre molto il tempo e le perdite di vitamine della cottura. Mi dispiace per la cara pentola di coccio della cultura contadina, ma non c'è paragone: studi precisi dimostrano che solo la cottura ad alta temperatura della pentola a pressione riduce di molto le tante sostanze anti-nutrizionali. Per conservarne l'uso e sentirci legati un po' alla Tradizione, usiamo la cara pentola di coccio, col suo coperchio di coccio, solo per i legumi più teneri, come le lenticchie (20-30 minuti), o quando dobbiamo rimestare con la frusta per ottenere una purea (piselli spaccati). Si è scoperto, infatti, che non sempre "la nonna aveva ragione". La cottura a bassissimo fuoco ma molto lunga (pentola di terracotta) distrugge molte più vitamine del gruppo B e lascia intatti molti più principi anti-nutrizionali di una cottura ad alta temperatura ma molto più breve (pentola a pressione di vapore). E la pressione, una forza fisica del tutto naturale compatibile anche con i tempi antichi, aumenta la temperatura, dimezzando i tempi.
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      E l'acqua dell'ammollo, la gettiamo via o la utilizziamo in cottura (di norma, 3 mestoli grossi per mezzo chilo di legumi secchi già ammollati)? L'acqua dovrebbe contenere solo una parte - le molecole sono poco idrosolubili - di fitati anti-calcio e antiminerali (v. link in fine articolo), saponine, antitripsine e alcuni polifenoli protettivi, come si vede dal colore scuro di quella dei fagioli neri o rossi. I vantaggi protettivi dei legumi (anti-obesità, anti-stipsi, anti-diabete, anti-colesterolo, anti-lipidi, anti-cancro ecc.) sono legati proprio al potere antinutrizionale dei polifenoli, dei fitati, delle fibre solubili, degli anti-enzimi e dei vari composti anti-nutrizionali contenuti nella parte esterna. Basta ricordare che i fitati sono addirittura anti-proliferativi, cioè anti-metastasi. Quindi quella benedetta acqua di ammollo, valutati i pro (protezione) e i contra (anti-minerale) conviene utilizzarla. I legumi risulteranno più saporiti dopo la cottura.
      Perciò possiamo inventare uno slogan: "con i legumi si resta magri e con meno rischi".

E per i bambini, specialmente per i più piccoli? Prudenza e buon senso. Non divieto, assolutamente, tranne nei piccolissimi appena svezzati, la cui flora batterica del colon è ancora carente. Ma anche in questi casi limite, so di madri e di rari pediatri esperti di alimentazione sana che inseriscono con successo - e fanno bene - i legumi molro ben cotti e passati, in purea. Questo sul piano puramente digestivo.
      E su quello nutrizionale infantile? I timori della dieta dei Paesi poveri (rachitismo, ritardato sviluppo ecc) dovrebbero in teoria essere fuori luogo in Occidente, dove i bambini semmai tendono ad un eccesso proteico, a causa di modelli pubblicitari sbagliati. E i legumi non saranno certo il cibo preponderante, figuriamoci. Ad ogni modo, i legumi vanno dati regolarmente già ai bambini grandicelli, con una certa prudenza e intelligenza. Quelle stesse sostanze antinutrizionali utili agli adulti potrebbero ritardare lo sviluppo negli organismi in rapida crescita. Fare in modo, quindi, che nella dieta giornaliera infantile ci siano proteine di ottima qualità biologica e assimilabilità (latticini, uova), e che nel medesimo pasto, insieme con i legumi (per i più piccoli, setacciati o senza buccia), ci sia abbondanza di calcio assimilabile e di altri sali minerali (dall'acqua ricca di calcio e magnesio ai latticini), e che nei bambini vegetariani (attenzione: controllo medico competente) ci sia non solo la complementazione delle proteine (legumi più cereali, nel medesimo pasto) ma anche, come detto, il ricorso anche a uova e latticini. I legumi essendo vegetali, oltretutto, non hanno la vitamina B12.

Ma torniamo agli adulti queste prudenze non hanno giustificate. Vale innanzitutto il criterio dell' abitudine della flora batterica del colon.  Cioè, chi non è abituato, cioè chi non ha mai mangiato i legumi o li ha consumati di rado, non può passare subito a consumarli tutti i giorni: potrebbe avere meteorismo (aria, gonfiore e piccoli dolori addominali). Il corpo va abituato gradualmente: prima una volta a settimana, poi due volte, poi tre ecc. Fino ad abituare i batteri del colon a digerirli senza problemi ogni giorno. Se ci sono attacchi di meteorismo o di irritazione del colon, interrompere il consumo di legumi e ricominciare ad abituare il colon una volta che i dolori sono cessati. Posso testimoniare, addirittura da soggetto con colon irritabile e psicosomatico fin dall’adolescenza, che – a colon ormai abituato, il che accade in pochi giorni o settimane – consumare un piatto abbondante di legumi ogni giorno non dà il minimo problema. Per i tanti colitici, semmai, altri possono essere gli alimenti negativi, come quando mangiamo crude verdure troppo sviluppate e poco tenere (es. indivia, scarola, cicoria, radicchio) e  quindi ricche di cellulosa indigesta. A differenza dei legumi, ricchi di emicellulose e gomme, cioè fibre insolubili. Spesso il meteorismo provocato da quelle verdure è attribuito ingiustamente ai legumi.
      E i famosi fitati, sono davvero un problema? No, nient’affatto, anzi in una dieta naturale regolare a lungo termine sono più positivi che negativi (se ne parla a proposito di cereali integrali, v. qui).
Ed ecco, infine, una sintesi dei vantaggi d’una dieta ricca di legumi:


Per la felice compresenza di fibre solubili e insolubili, i legumi – che a differenza dei cereali che sono digeribili anche se poco cotti, devono essere sempre molto ben cotti – sono il cibo ideale anti-stitichezza, capaci dopo i primi giorni di “abitudine” della flora batterica del colon (per chi non fosse già abituato), di ristabilirne un più corretto funzionamento dell’intestino senza problemi.
      Grazie alla fermentazione delle loro fibre ad opera della flora batterica con formazione di preziosi acidi grassi volatili a catena corta (butirrico, propionico, acetico ecc.), alla notevole presenza di ferro, e alla ricchezza – specialmente nella buccia che è la parte più attiva farmacologicamente – di sostanze anti-nutrizionali (saponine, fitati, inibitori delle proteasi e altri anti-enzimi, antiagglutinine, polifenoli ecc) che non solo sono anti-cancro e anti-ossidanti, ma fanno assimilare poco i nutrienti (compresi grassi e colesterolo), e alla lecitina, i legumi non solo sono anti-anemici, non solo bilanciano la carenza di ferro e proteine di buon livello nelle diete vegetariane o carenti, ma contribuiscono al benessere della stessa mucosa intestinale, e soprattutto riducono la sintesi del colesterolo, i grassi e il tasso di glucosio nel sangue.
      Diminuiscono così in un colpo solo i rischi di disturbi, insufficienze alimentari e gravi malattie degenerative: stipsi, atonia intestinale, carenza di ferro, carenza di proteine, sovrappeso, obesità, ipercolesterolemia e malattie cardio-vascolari, trigliceridi in eccesso, diabete alimentare, e cancro intestinale.
      E sono altamente “dietetici”. Poiché saziano molto e sono ricchi insieme di proteine di buona qualità e di amidi, a tavola tendono a sostituire nello stesso tempo sia primi piatti troppo abbondanti (cereali), sia secondi piatti troppo proteici e grassi (carne, formaggi). Perciò riequilibrano con la loro sola presenza, l’intera dieta giornaliera.
      Senza contare che sono economicissimi e, al contrario d’una diffusa voce popolare, perfino di rapida cottura. Infatti, se si dividono correttamente costi e tempi di cottura per il numero delle porzioni, si scopre che una singola porzione è stata cotta in circa 3 minuti (meno delle paste da cuocere) a un costo irrisorio.
      E, per chi li mangia ogni giorno o quasi, anche di normale digestione (più facile di alcune insalate…). Infatti, se i legumi sono stati messi a bagno, se sono stati cotti a lungo fino a risultare morbidi, se il consumatore vi si è abituato mangiandoli ogni giorno o spessissimo, la produzione eccessiva di gas intestinali di cui parla un’ottusa voce popolare troppo spesso accettata in modo acritico dai medici, non avviene e la digestione si svolge normalmente e senza sintomi. (Molte volte sono attribuiti ai legumi o ad altri cibi problemi psico-somatici del colon). L’eliminazione della buccia, invece, sarebbe un errore, perché ridurrebbe di molto tutti i benefici dei legumi, essendo le sostanze utili per lo più nella parte esterna.
      Così, quasi sempre, basta inserire nella dieta di ogni giorno, anche la più mediocre e trasandata, buone porzioni di legumi, magari completando i pasti con verdure, per renderla buona se non addirittura ottima.
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IMMAGINI. 1. Composizione di 20 specie e varietà di legumi. 2. Un bel fagiolo marmorizzato. 3. Crema di fagioli neri. 4. Ceci neri indiani. 5. Piatto di fagioli rossi kidney. 6. Fagioli neri. 7. Piselli freschi (immaturi) in baccello. 8. Crema di piselli secchi spezzati. 9. Varietà multicolori di fagioli, ognuna con un proprio squisito sapore (e spesso con caratteristiche nutrizionali e protettive diverse).
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AGGIORNATO IL 16 AGOSTO 2019

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